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sabato 17 luglio 2010

La corruzione nel nome di Cesare


"e questi politici , di questa qualità (sic!), dovrebbero pensare anche al Sud...
e c'è ancora, pure da noi, chi ci crede ancora...."

Le carte dell'inchiesta sulla nuova P3 scoprono l'abisso nel quale stava e sta tuttora per precipitare la nostra democrazia. Un metodo di governo e un sistema di potere costruito per servire gli interessi personali del presidente del Consiglio

di Massimo Giannini

In nome di "Cesare"
Le carte dell'inchiesta sulla nuova P3 scoprono l'abisso nel quale stava e sta tuttora per precipitare la nostra democrazia. In mano a una "cupola" che, sul Lodo Alfano, non ha esitato a giocare una partita mortale, dentro e contro lo Stato di diritto. L'ha persa, ma non per questo appare oggi meno pericolosa. Perché il "metodo di governo" che c'è dietro, il "sistema di potere" che organizza e difende, è costruito per servire gli interessi personali del presidente del Consiglio, e per riprodurne i metodi corruttivi all'interno del tessuto politico, del contesto economico e dell'apparato istituzionale. La pericolosità criminale di questa "rete" al servizio di Silvio Berlusconi viene fuori con paurosa chiarezza, a leggere le centinaia di pagine dei verbali. Si resta allibiti nel verificare la frenetica "attività" del comitato d'affari, riunito intorno al coordinatore di fiducia del Cavaliere dentro al Pdl Denis Verdini, al suo braccio destro nell'avventura di Publitalia e di Forza Italia Marcello Dell'Utri, al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, e a personaggi come Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi. Tutti impegnati, a vario titolo e con funzioni diverse, a cercare di condizionare la decisione dei quindici giudici costituzionali chiamati a decidere sulla legittimità del Lodo. Tutti ingaggiati, probabilmente, dallo stesso
premier: col quale hanno incontri, al quale devono costantemente riferire. Altro che "quattro sfigati in pensione": queste carte ci dicono che a cavallo di quel settembre/ottobre del 2009 ci fu un vero e proprio "assedio" agli ermellini della Corte, per estorcergli un verdetto positivo da consegnare tra gli allori al Cesare "trionfatore", citato nelle carte ben 23 volte. Altro che gente che "trama per sei bottiglie di vino", come scherzano i giornali di famiglia: in quei giorni la posta in gioco, altissima per il Cavaliere, era il suo salvacondotto processuale, cioè la sua salvezza politica. Solo grazie ad essa la nuova P3 avrebbe potuto continuare a prosperare, nel quadro di quel collaudato "scambio di favori tra reti criminali" di cui ha parlato il procuratore antimafia Pietro Grasso. E poco importa se, alla fine, l'assedio fallì e il verdetto fu negativo: l'ultimo degli studenti di giurisprudenza sa bene che per il diritto penale il reato tentato, ancorché non consumato, non indica affatto una minore pericolosità criminale.

Fonte : Liste di discussione ICI e ISAT

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