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lunedì 7 maggio 2012

L’Italia libera ricomiciò da Sud eppure se lo dimenticò subito



di Lino Patruno


C’è un altro e misconosciuto periodo nero nel lungo calvario dei danni al Mezzogiorno italiano: lo sbarco in Sicilia e gli 800 giorni di occupazione anglo-americana dal 10 luglio 1943. Del tutto opportuno quindi che Gigi Di Fiore lo abbia ripercorso con la sua Controstoria della Liberazione. Le stragi e i crimini dimenticati degli Alleati nell’Italia del Sud (Rizzoli ed., pagg. 352, euro 19,00). Come un altro Risorgimento tradito, del resto per primo già ripercorso dallo scrittore e giornalista napoletano (inviato del «Mattino») con la sua fortunata Controstoria dell’Unità d’Italia. Un Paese a malapena unificato fu di nuovo spaccato non solo dall’ar mistizio dell’8 settembre fino alla pace, ma dalle sue conseguenze. Perché quella che poteva essere una resurrezione del Sud senza nazifascismo, fu anche una tragedia in più atti che segnò pure il futuro del Sud, non diversamente da ciò che avvenne dopo il 1861. 
Il primo atto furono le stragi di soldati italiani considerati tutt’altro che alleati nonostante la non belligeranza: anche peggio delle stragi e delle fucilazioni sommarie della lotta al brigantaggio. Poi i crimini contro la popolazione civile addirittura odiata e considerata non meno incivile e «affricana» (con due effe) di come la descrisse Nino Bixio dopo la risalita di Garibaldi. Poi i bombardamenti indiscriminati che distrussero il 64 per cento delle industrie. Poi un’inflazione selvaggia provocata dalla diffusione incontrollata delle Am-lire e la spaventosa miseria. Fra un atto e l’altro, una interessata collaborazione delle due potenze trasformò i boss di Cosa Nostra (a cominciare da Lucky Luciano) in galantuomini e addirittura sindaci, facendo crescere il potere della mafia come mai prima. Lo spudorato oltraggio alle donne violentate dai marocchini è rimasto una cicatrice e una vergogna mai cancellate. Il contrabbando, le malattie veneree, violenze di ogni genere martirizzarono soprattutto e ancòra una volta Napoli sempre meno ex-capitale. Altro che il mito soprattutto cinematografico degli «Hey, man» con le tavolette di cioccolata, le chewing gum e le sigarette per tutti di cui si è sempre detto che il Sud si fosse innamorato. 

Furono più conquistatori che liberatori (anche in questo ancòra una volta), padroni assoluti e arroganti, sospettosi e brutali in una torbida retrovia di bordelli e puttane prima di andare a morire a Cassino. Del resto il cinema se ne è anche occupato con lo struggente La ciociara del premio Oscar a Sophia Loren. E Napoli milionaria di Eduardo proprio partendo da quei giorni ci ha lasciato un quadro indimenticabile e universale della guerra e dei suoi orrori. Di Fiore non è autore che arrangi fonti e documenti. La sua impressionante precisione è figlia di una ricerca addirittura spasmodica, non c’è episodio in cui manchino una data e un nome. E così un periodo finora considerato solo controverso viene fuori con una luce ben più cupa. Soprattutto, è quel che conta, più cupa per il domani di un Sud che dalla guerra e dal dopoguerra uscì con le ossa molto più rotte del resto del Paese. E che pagò dopo non meno di prima. Davanti al boom della ricostruzione, nessuno tenne conto delle sue condizioni peggiori, meno che mai i governi nordisti figli della lotta partigiana al di là del Rubicone. 

Per l’ennesima volta il Sud era da rimuovere, forse colpevole di essere stato con Pescara, Brindisi e Salerno sede di un regno voltagabbana e vile. E quando gli americani, consci di ciò che avevano combinato, fecero arrivare i soldi del Piano Marshall soprattutto per il Sud, quei soldi andarono per il novanta per cento al Centro Nord. Una ennesima Questione Meridionale di cui il Sud non doveva lamentarsi. Tranne poi le pezze della Cassa per il Mezzogiorno per cercare di rimediare a ciò che era stato quasi irrimediabilmente compromesso. Di Fiore non usa toni partigiani di rivendicazione, ed è un altro dei pregi del suo racconto. Nel quale la Puglia compare non solo come vittima (vedi la vicenda oscura del generale Bellomo, la terra bruciata di Foggia, l’attacco al porto di Taranto) ma addirittura, con Bari, come faro della nuova Italia della speranza, della democrazia, della rinascita. Radio Bari, il congresso dei Comitati di Liberazione nazionale. L’Italia ricominciò da Sud, ma lo si dimenticò sùbito.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

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