di Bruno Pappalardo
mercoledì 30 maggio 2012
Emilia,... i morti senza patria.
di Bruno Pappalardo
Penso che i morti non abbiano una patria.
Penso che le diciassette vittime
dell’Emilia, di questi giorni, siano i nostri morti.Penso al marocchino
Mohamad, all'operaio indiano Kumar , al cinese Hou Hongli, o all’operaio di
Messina, l’italiano Siclari, e alcuni altri ancora, morti lontano dalla
propria casa e dall’affetto delle loro madri. Sono morti che ci
avvelenano. Oggi non appartengono più ad un territorio o ad una bandiera ma
alla collettività delle genti .
Tutti i morti, sono i morti di
tutti.
Non sono deceduti per proteggere quel territorio da un colonizzatore e
ne per sostenere un torto. Non hanno imbracciato un fucile e consapevoli si
sono lanciati nella mischia.
Sono i morti della malvivenza, della
corruzione, dell’incapacità, della decomposizione dei valori fondanti della
vita, dell’etica.
Sono i morti di taluni signori responsabili della
strage dei capannoni, 12 corpi di giovani vite.Questi, purtroppo sono
nostri.
Vorrei, invece, che fossero, anche questi, di tutti.
I
delinquenti di questa pasta, con la nostra Giustizia inquinata, riescono anche a cavarsela, soprattutto se sono de costruttori e
professionisti: ( il 28 gennaio 2010 crolla il tetto di una scuola
elementare a San Giuliano delle Puglie; dopo tre gradi di giudizio i tecnici
e politici sono stati condannati 2 anni e 11 mesi che non sconteranno mai.
In primo grado furono assolti).
Vorrei che ci fosse un Tribunale
Internazionali per i Crimini della Depravazione.
Sono quelli che hanno
interrotto un sogno, un futuro anche per i loro piccoli.
Chi distrugge la
prospettiva di una vita possibile, il filo rosso che si srotola tranquillo
nell’attesa di allungarsi, evolversi, migliorare se stessi e la propria
famiglia, infuturato per una vita normale ma intrisa di aspettative,
sentimenti, progetti , emozioni, paura per quel colloquio di lavoro o esame,
impulsi di rabbia per un’ingiustizia vissuta, et cetera, in qualunque forma
l’abbia tranciata, ( perfino senza la consapevolezza di farlo), resta
tuttavia, un assassino e i morti sono stati uccisi.
Avishai Margalit,
operaio, laureato e immigrato in Italia, nel suo libro “ La società decente”
sostiene che prima di essere “giusta” deve essere decente. La soluzione?
Cambiare le regole delle istituzioni!
Direi di cambiare gli uomini; affidare
la vita degli altri a giovani studiosi e ricercatori, formati e agguerriti e
pronti per la una rivoluzione etica e professionale di questo
delinquenziale, scellerato e corrotto paese!
Bruno Pappalardo
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