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Uno sguardo al calendario et voilà! Tra poco è Natale. Festa cristiana che celebra la venuta di Cristo redentore, di solito è foriera di lauti banchetti che però, ahimè, complice l’incedere della crisi economica, diventano anno dopo anno sempre meno pantagruelici. E taglia qui, taglia lì, è in verità poco probabile che vittima delle sforbiciate cadrà anche uno dei dolci più tipici del nostro Natale: il panettone. Il panettone è un tipico dolce milanese, associato alle tradizioni gastronomiche del Natale ed ampiamente diffuso in tutta Italia.
Il panettone tradizionale lombardo è notoriamente quello alto, esiste anche la variante piemontese, bassa e larga. Oggi il panettone, viene prodotto su scala industriale da aziende del nord, per cui, volendo filosofeggiare, il Natale sarà occasione dell’ennesima emorragia di denaro dalla Napolitania (è questo uno dei nomi storici del rimpianto Regno di Napoli, per cui un calabrese fino al 1860 interrogato sulla propria nazionalità avrebbe risposto “Sono napolitano”. Dunque ecco svelata la differenza tra gli aggettivi “napolitano” e “napoletano”: il primo, più antico, designava entrambe le appartenenze al Regno di Napoli e alla città di Napoli. Ha poi dato origine al secondo che designa esclusivamente l’appartenenza alla città, pur il primo continuando ad esistere esclusivamente con riferimento alla nazionalità). Fiumi di denaro guadagnato col sangue, il sudore e le fatiche di tanti padri di famiglia meridionali si riverseranno nelle tasche del “bauscia” milanese di turno, lo stesso “bauscia” che magari con aria di disprezzo non ha mai esitato a chiamarci “terun”. Personalmente trovo profondamente insensato favorire questo ennesimo flusso di denaro “ad Padaniam” (parola che anche se designa una nazione inventata, ci prendiamo la licenza di usare in quanto i pazzi, di solito, si assecondano), non tanto per ragioni politiche, ma in quanto la Napolitania è Patria di una inesausta serie di pietanze e di dolci natalizi, che noi, essendo in loco, possiamo acquistare di fattura artigianale e non industriale come invece capita con il panetun, facendo arricchire stavolta i nostri bravi e capaci artigiani invece dell’imprenditore con le pezze a culo e l’accento del nord. Insomma per farla breve: è peccato spendere anche solo 10 centesimi per un panettone se poi possiamo scegliere tra struffoli, cassate, pastiere, cannoli, casatielli e chi più ne ha più ne metta. Tra l’altro, se da un lato è vero che de gustibus non disputandum est, nella sua estrema banalità il panettone non sembra reggere neanche lontanamente il confronto con i dolci napolitani. Sarà più piacevole fare un giro di telefonate tra amici e parenti, oltre che per farsi gli auguri anche per chiedere di questo o di quel pasticciere invece di riversarsi in massa come tanti “piecuri” nel più vicino centro commerciale, che rappresenta quest’ultimo un’altra delle tantissime piaghe del “progresso” (se cosi si può chiamare). Il centro commerciale, la cui “serialità” è comune a quella del panettone, è stata una delle più grosse sciagure che ci siano capitate, e come altre (televisione, telefonino e così via) l’abbiamo accettata passivamente con una sciocca ed inconsapevole gioia. Grazie ai centri
commerciali abbiamo perso grande parte di quella socialità e affettività che da sapore alla vita, in quanto i più ormai preferiscono perdere il proprio tempo in luoghi affollati e privi di anima, abbiamo grazie ad essi perso il senso della famiglia e delle amicizie. Non solo, ma essi in pratica, grazie ad un’appropriazione quasi monopolistica della filiera distributiva, hanno prima mandato a gambe all’aria e poi trasformato dignitosi fruttivendoli, macellai, giocattolai, pasticcieri, negozianti di abbigliamento, di elettrodomestici e così via in miserabili schiavi salariati costretti per stipendi da fame a fare turni di lavoro anche di diciotto ore, sabati e domeniche compresi nell’indifferenza o complicità dei sindacati. Per cui questo Natale, prima di abbandonarsi in maniera ossessivocompulsiva agli acquisti e alla stucchevole retorica del “siamo tutti più buoni”, sarebbe d’uopo fermarsi un tantino a riflettere, e solo poi, con rinnovata autocoscienza, decidere cosa fare.
Vice Coordinatore
Partito del Sud – Aversa-Giugliano
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