Meridione di lotta: un molisano a capo del Partito del Sud !
mercoledì 13 ottobre 2010
Intervista a Beppe De Santis da www.primonumero.it - Mercoledì 13 Ottobre 2010
Politica
Meridione di lotta: un molisano a capo del Partito del Sud !
Meridione di lotta: un molisano a capo del Partito del Sud !
Beppe De Santis, cresciuto tra Montenero e Termoli, classe 1952, eletto segretario nazionale del Partito del Sud, la risposta alla Lega e allo strapotere del Settentrione "nato per legittima difesa e per riprenderci il governo del nostro territorio". In questa intervista racconta le sue origini, la formazione politica, da Roma alla Sicilia. Da Botteghe oscure, dove era funzionario a 19 anni, alla scorta armata a Palermo.
Alla fine l’hanno fatto. Il Partito del Sud. “Neo-federalista” si legge nella presentazione ufficiale, “per difendere in primis gli interessi e l’economia dei meridionali, a cominciare dagli agricoltori, dagli artigiani e piccole e medie imprese meridionali”. Insomma, è l’anti-Lega Nord. Nasce da decine di associazioni, movimenti, alleanze neomeridionaliste, incrocia disoccupati e imprenditori, agricoltori e intellettuali, e proprio in queste settimane si sta strutturando sul territorio, dalla Sicilia al Triveneto passando per il Molise, l’Abruzzo, «e tutte le regioni italiane, perché i meridionali non vivono solo nel Meridione» Lo scorso 25 settembre, al congresso di Gaeta, città simbolo nella storia del Mezzogiorno (durante l’assedio dei piemontesi del 1860-61 morirono tremila civili) è stato eletto il segretario nazionale. Che è un molisano. Anzi, bassomolisano. Cresciuto nel centro che ha dato i natali al più illustre politico corregionale, Montenero Di Bisaccia. Beppe De Santis, proprio come Antonio Di Pietro, sottolinea le “origini contadine”. Classe 1952, calore e carisma da vendere, ciuffo scuro che si agita al ritmo di discorsi appassionati, una moglie dai tratti arabi sposata “in tarda età” e una figlia, Francesca, bionda come una normanna: la famiglia, messa in piedi in Sicilia, dove vive da molti anni, è la sintesi perfetta dell’incrocio dei popoli che hanno segnato il sud. Quel sud che ama in maniera viscerale, lontanissimo da un approccio nostalgico e “proiettato al futuro”. Il futuro è già arrivato, visto che il 13 e 14 novembre prossimi il PdSud costituirà gli Stati generali a Palermo, per poi risalire lo Stivale e organizzare assemblee costituenti, e quindi circoli e federazioni in tutto il Paese, preparandosi degnamente alle prossime competizioni elettorali.
«Il nostro sarà un grande partito di massa, non di elite, democratico, pieno di commercianti, artigiani, imprenditori, donne, battagliere, combattenti. Il meridione non è rassegnato, e vuole combattere. Lanceremo una marcia dei popoli meridionali regione per regione, una marcia pacifica per attaccare il governo su tutti i lati: dal precariato al reddito minimo, sul modello dei paesi sviluppati. Abbiamo una piattaforma economica seria». Lui, d’altronde, è un economista di mestiere, come ricordano i suoi amici di Termoli, cittadina dove De Santis ha studiato, prima il ginnasio e poi il liceo nel seminario di don Mario Vincelli. «Ricordo Termoli come se me ne fossi andato ieri. La Cattedrale, i primi comizi in piazza Vittorio, i trabucchi dove scappavo per leggere in pace un libro, e poi i movimenti studenteschi, le lotte dei pescatori, le assemblee di quartiere. Sono ricordi straordinari, non vedo l’ora di tornare da quelle parti».
Nato a Palata, cresciuto a Montenero. A lungo leader della Cgil, esperto d’economia, ex collaboratore di Lombardo (attuale presidente della Regione Sicilia) e soprattutto leader della Cgil a vari livelli, esperto di economia e referente per le cooperative, autore di moltissimi saggi. Una vita intensa, come si dice.
«Cominciata pascolando le pecore, dico sul serio. L’infanzia l’ho passata nei pascoli tra Palata e Larino. Le scuole medie le ho frequentate a Montenero. Poi sono stato a Termoli a studiare, e lì mi sono formato. Scrivevo anche per l’Unità, ero corrispondente».
Poi Roma, l’università, la Federazione del partito Comunista e Botteghe Oscure («a 19 anni ero funzionario del Pci, vedevo tutti i giorni Giorgio Napolitano…»), la scalata della Cgil fino a diventarne, giovanissimo, uno dei leader e infine la Sicilia.
«Mi ci mandò all’inizio del 1989 Bruno Trentin (storico segretario della Cgil) per commissariare il sindacato. Il clima era terribile. Nel ’90 venne ucciso (dalla mafia, ndr) Giovanni Bonsignore e stavo per rientrare a Roma. Ma poi sono rimasto, a quel punto sarebbe stato vigliacco fuggire. Ho avuto la scorta armata per sei anni».
E continua a definirsi un “contadinaccio”. Non le sembra un vezzo?
(ride) «Macché, è verissimo. E guardi che proprio le mie origini contadine, che sono motivo di orgoglio per me, sono all’origine di questa avventura nel Partito del Sud. Amo il fiero popolo dei sanniti. E inoltre in Molise ho la famiglia, una sorella (è stata vicesindaco a Montenero, ndr) un fratello (l’altro, Vincenzo, è stato capitano del Termoli prima di morire, nel 1992, in un brutto incidente stradale all’altezza della Torretta sulla Statale 16) e una marea di nipotini».
Ora è il segretario nazionale di un partito con una ‘mission’ chiarissima. Come ci è arrivato?
«Il Partito del Sud è il risultato di decine di associazioni neomeridionaliste, alleanze, moti che da dieci anni a questa parte interessano il nostro Paese. Forze aggregate da Antonio Ciano, un capopolo della sinistra che nel 2007 ha dato al movimento un profilo produttivo laburista, ha messo in piedi due liste neomeridionaliste che due anni fa hanno preso Gaeta, luogo geografico strategico e città simbolo, eleggendo sindaco Raimondi, di ispirazione cattoprogressista, formalizzando una confederazione e acquisendo il logo e il nome del Partito del Sud dal notaio. Miccichè venderebbe la madre per averli».
In politica, di questi tempi, il risvolto identitario premia?
«I meridionali non ne possono più della Lega Nord e dello strapotere del settentrione a tutti i livelli, che questo Governo cavalca e supporta. Certo, il partito del Sud è una risposta ai vari Bossi e Maroni, nonché alla politica antimeridione di Silvio Berlusconi. Ma è anche una questione culturale, particolarmente sentita oggi. Del resto ci sarà un motivo per cui il libro di Pino Aprile (“Terroni”, ndr), che peraltro fa parte del nostro movimento insieme a molti altri intellettuali, artisti, registi e scrittori, è un best seller e arriverà a vendere un milione di copie?».
Nel suo primo intervento da neo segretario lei ha stracciato punto per punto il Piano per il Sud di Berlusconi
«Quello è un falso Piano per il sud. Una presa in giro (qui l’intervento, ndr). Il nostro partito è nato per legittima difesa, e per contribuire alla sua cacciata».
Vuol dire di Berlusconi? Non pare un obiettivo facile.
«Tiene bloccata l’Italia da 15 anni, e ci è riuscito grazie all’inerzia della sinistra che non ha capito le trasformazioni in atto. Dal punto di vista storico Berlusconi ha riempito il vuoto della destra, niente di geniale, ha occupato uno spazio libero. Aveva soldi, televisioni, poteva farlo e lo ha fatto cinicamente, brutalmente. Quindici anni fa però migliaia di operai stavano diventando imprenditori, e la sinistra non ha capito un bel niente della trasformazione del capitalismo molecolare nel nord. Berlusconi, ma non dico certo una novità, è il prodotto della crisi delle forze di sinistra».
Il Partito del Sud dove si colloca? In quale casella della scacchiera?
«La nostra è una forza antagonista intelligente e seria che vuole riprendersi il governo del sud. Ci sarà modo, nei prossimi mesi, di sviscerare ampiamente il tema, ma anticipo che noi abbiamo pronta una piattaforma costituzionale per mettere insieme le 8 regioni del sud in una macroregione perché, proprio come sostiene Giorgio Ruffolo nel suo libro “L’Italia Paese troppo lungo”, è indispensabile ripartire da qui, dalla nostra economia, dalle nostre forze, dalla ricchezza umana e territoriale del Meridione. Niente a che vedere con il finto partito del sud di Miccichè, fatto dal padrone di Milano. Noi tendiamo a una sinistra federalista nuova, e organizzata in maniera capillare sul territorio».
Che significa? Un circolo per ogni paesello? Com’era una volta, quando c’erano i democristiani e i comunisti?
«L’idea è proprio quella. Molti non credono nella democrazia organizzata, mentre io ne sono un fanatico. Adesso che mi hanno chiamato alle armi riparto proprio da qui: dall’organizzazione sul territorio, dai circoli paese per paese. Basta con i partiti all’impronta dei personalismi, la democrazia è ben altra cosa ed è di questo che c’è bisogno. Una democrazia reale e virtuale, nel senso che anche internet, da questo punto di vista, aiuta moltissimo. Abbiamo siti, blog, forum di discussione e perfino canali di web tv. Ma naturalmente non basta, la gente deve incontrarsi anche nella realtà. Quindi cominciamo tra pochissimo con le assemblee, mi sto preparando a girare l’Italia nei prossimi mesi e finalmente tornerò anche in Molise».
A proposito di Molise, il suo giudizio su Antonio Di Pietro?
«Ci siamo conosciuti a cavallo tra gli Anni Cinquanta e Sessanta. Lui ha tre anni più di me, la masseria del suo papà era a mille metri da quella di mio padre , e ci siamo incrociati anche a Termoli durante gli anni di studio in seminario. Siamo molto diversi»
Certo. Ecco perché è interessante sapere che ne pensa.
«Di Pietro ha fatto il suo dovere di giudice a Milano, poi è entrato in politica ed è stato molto fortunato nella sua ascesa. Detto questo, se avessi avuto io la sua fortuna non avrei fatto nascere Berlusconi. Quello che gli rimprovero è che il suo partito non è meridionalista, fa finta che la questione meridionalista non ci sia. Quello che non mi piace del suo partito è che è eccessivamente personalistico e che non ha una politica economica».
Ora il partito del sud sta per uscire allo scoperto, giusto?
«L’assemblea costituente è prevista per il 16 novembre. Il giorno dopo scatterà l’offensiva: si sentirà molto parlare di noi». (mv)
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