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martedì 12 febbraio 2013

Una proposta per il Centro Sud. I fondi europei detassino tutte le imprese, non ne finanzino solo alcune


Scritto da: Piercamillo Falasca

Se mi capitasse la ventura di sedere in Parlamento, il primo atto che presenterei all’attenzione dell’aula sarebbe una mozione parlamentare che impegni il governo italiano ad aprire un negoziato con l’Unione Europea sull’utilizzo del fondi comunitari del periodo 2014-2020 (oggetto nei giorni scorsi dell’accordo sul bilancio), per convertirli in una consistente riduzione dell’imposizione sul reddito d’impresa per tutte le aziende residenti nelle regioni del Centro-Sud (le aree beneficiarie degli aiuti). È una proposta a cui il sottoscritto ha lavorato nel 2008 per l’Istituto Bruno Leoni e che, a distanza di anni, appare quanto mai opportuna (nella sua forma “radicale”, la trasformazione del Mezzogiorno in una grande No Tax Region per il reddito d’impresa).

Anche il ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013, come quello precedente, ha purtroppo mostrato le sue falle: l’intermediazione politica e burocratica delle risorse comunitarie ne condiziona negativamente l’utilizzo, a scapito della trasparenza e dell’efficacia degli investimenti. Intorno ai fondi comunitari si è sviluppata e consolidata negli anni una pletora di interessi clientelari, che ne hanno snaturato la ratio. Sarebbe decisamente meglio una misura lineare e “impersonale”, una detassazione del reddito per tutte le attività economiche, che finisca così per premiare gli imprenditori più capaci e meritevoli e non per finanziarie improbabili ed anti-economiche attività, la cui ragion d’essere è costituita semplicemente dall’incasso dell’incentivo.

Non sfugge che una detassazione dell’imposta sul reddito per le imprese meridionali rischierebbe di avere più di un profilo di incompatibilità con le norme comunitarie in materia di aiuti di stato, tanto che l’eventuale placet dell’Unione Europea dovrebbe essere l’esito di una richiesta (esplicita e tutta politica) da parte del governo italiano di una deroga, di una vera e propria “eccezione”.

D’altro canto, si può davvero considerare aiuto di Stato un intervento di riduzione fiscale per un’area abitata da circa diciassette milioni di abitanti? Conti alla mano, il Mezzogiorno d’Italia sarebbe l’ottavo paese dell’Unione Europea. E non è azzardato considerarlo un paese quanto meno “per differenza”, rispetto al Centro-Nord dell’Italia: non c’è una statistica di natura socio-economica che sia una, in cui non si evidenzi la frattura profonda tra le due macroregioni della nazione e il carattere drammaticamente duale del paese.

Ciò detto, mai come in una fase di crisi come quella che stiamo vivendo e grazie alla credibilità faticosamente riconquistata nell’ultimo anno di governo Monti, l’Italia avrebbe la forza e la legittimità per  imporre questa posizione. L’abbattimento indifferenziato della pressione fiscale per le aziende sarebbe una leva per l’attrazione degli investimenti privati, ma rappresenterebbe soprattutto un messaggio chiaro di “astensione” della politica e della burocrazia da scelte e dinamiche che riguardano esclusivamente gli attori privati.

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