di Pino AprileAnticipo un brano di qualcosa che sto scrivendo. E su cui credo di dover raccogliere altri dati e riflettere, ma… Cosa succede dove sembra che non stia succedendo nulla? Nelle regioni più dimenticate, per dire? Come in Calabria, che sembra esistere solo per il male, la ‘ndrangheta? Forse, sottotraccia, sotto il pelo libero delle notizie, dove non arriva l’occhio dei giornali (indifferenti al Sud, se non per sangue e monnezza), si prepara il futuro.
Non so dire come sarà, e nemmeno se ce la farà ad essere, ma qualcosa sta accadendo. Ed è qualcosa di nuovo. Forse di decisivo. Non so nemmeno se i protagonisti se ne rendano conto: si muovono quasi ognuno per conto proprio, ma nella stessa direzione. Se non si disperderanno prima, sono destinati a incontrarsi e divenire un popolo in marcia. Ne incontro molti di questi ragazzi, studenti, giovani professionisti, nei miei giri terronici in Meridione. Sarà per la ragione dei miei viaggi, che forse seleziona le persone; o perché sono fortunato negli incontri; o magari per altro che falsa la statistica… insomma, può essere per molte ragioni, ma non si può escludere la possibilità che le cose siano proprio come appaiono: c’è una generazione di meridionali che non vuole più andarsene e, dopo aver conosciuto mondo, vuol saperne di più del Sud e viverci.
Non hanno l’aria dei sognatori, dei missionari, degl’idealisti… Sono gente pratica: ci arrivano per ragionamento, somma di convenienze e la delusione di un Nord non più dorato, che ha perso la vergogna dei suoi umori più impresentabili, della sua avidità. E c’è anche l’ostinazione di credere che persino a Sud, chi vuole e insiste, qualcosa possa conquistare.
Con tante limitazioni, e mentre molti se ne vanno, loro restano; e ci provano; ci credono o si sforzano di farlo. Li vedi darsi da fare, per volontariato, agendo con la padronanza e l’efficienza di manager d’esperienza (forse il risultato di studi specifici); li scopri nell’organizzazione di un premio importante, complesso, come il Rhegium Julii, a Reggio Calabria, che comporta una serie di iniziative con istituzioni, scuole, nel territorio della provincia, e si regge quasi solo sulla buona volontà e le capacità di studenti, studentesse, o di fresca laurea (e lauree importanti). Ti guidano con educazione e polso fermo (è toccato pure a me, visto che mi hanno dato il Rhegium Julii); sanno prendere le misure agl’imprevisti e risolverli con scioltezza; lo fanno senza soggezione, a volte con ironia (complici, fra loro), per certe ritualità estranee ai loro vent’anni. Ma “vendono” il loro prodotto al meglio.
I Bronzi di Riace li hai già visti, glielo dici. Li hai visti al Quirinale, poi al museo di Reggio Calabria. Sì, ma adesso sono in restauro (e si restaura pure la sede del Museo, dove torneranno), senza lasciare la città; e sono sdraiati, non in piedi. Li hai mai visti sdraiati? Sdraiati no, e fors’è meglio: un guerriero a terra è un guerriero sconfitto; il contrario dell’orgogliosa potenza o prepotenza dei Bronzi. Un’umiliazione, no? No: anche gli eroi riposano…
Ok, ho capito, andiamo: i guerrieri stanno nella sede del Consiglio regionale, un pezzo del risarcimento dato a Reggio, per lo “scippo” del titolo di capoluogo della Regione. La guida che ci accoglie ha esperienze all’estero, impeccabile nella divisa, ferratissima, diresti fiera di quel che sa sulla propria terra, di cui mostra i tesori recuperati.
Quando ho visto i Bronzi l’ultima volta, poco più di un anno fa, erano nel Museo, ridotto male: degradato l’ambiente, e degradato l’umore di chi vi lavorava. Ora, in uno spazio lindo, persino presuntuoso, prevale fortissima l’idea di efficienza, di motivato orgoglio, mentre ti dicono quali sofisticate tecnologie garantiscano temperatura e umidità ideali per gli dei di bronzo; come il restauro avvenga dinanzi agli occhi di tutti, di là dal vetro; da quali centri della regione provengano gli altri reperti. È una vera e propria dichiarazione di appartenenza.
E non mi sembra un caso, per dire, che dei tanti movimenti culturali e politici sorti sull’onda del rinato meridionalismo, “Io resto in Calabria” (sostenuto dall’imprenditore Pippo Callipo) sia unico, indicando un progetto territoriale, identitario, affidato ai giovani e con tecniche moderne, manageriali, modellate sul futuro, con la creazione di una scuola di politica per educare una nuova classe dirigente.
Ma il punto di forza è avvertire, in tanti di questi giovani, l’assenza della condizione di minorità che frena il Sud da un secolo e mezzo: girano il mondo in aereo, voli low cost, con in tasca una moneta europea e forte, conoscendo, come fosse quella del proprio quartiere, la vita (non così diversa dalla propria) dei coetani di Paesi che erano esotici, mondi altri, per i loro padri, noi. Ogni luogo raggiungibile del pianeta, per questa generazione, è un’estensione del loro posto, di casa; e, con gente non importa quanto lontana (per l’uso degli stessi strumenti informatici, la condivisione di mode, dagli abiti alla musica), si incontrano per quel che hanno in comune e si apprezzano per quel che li distingue (noi, i padri, se andavi in Francia, eri stato all’estero). Così, si impara il valore (valore di scambio) delle proprie specificità. E quel che era vissuto come minoritario non è più tale.
Ho chiesto a un paio di ragazze volontarie al premio Rhegium Julii, perché lo facessero: «Qui, c’è poco. E quel poco è a rischio. Vogliamo tenercelo».
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