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venerdì 6 settembre 2013

L'Italia dell'8 settembre


di Gigi Di Fiore
Fonte: Il Mattino
Quella data è rimasta un marchio d'infamia. L'Italia dell'8 settembre, si dice. E si indica la propensione a fuggire, scansare pericoli e responsabilità. L'Italia degli opportunismi, dei calcoli. L'Italia cinica che cambia idea, senza pensarci due volte. L'Italia furbetta, ma cogliona, che non sa farsi apprezzare e tende ad annullare il suo meglio, il suo coraggio, le sue capacità.

Sono ormai passati 70 anni da quell'8 settembre del 1943. L'armistizio con gli anglo-americani, sbarcati a luglio in Sicilia e in quello stesso giorno in Calabria, era stato firmato cinque giorni prima a Cassibile. L'armistizio corto, viene definito. Una nobilitazione formale, a indicare nella sostanza una resa senza condizioni con trasmigrazioni di alleanze, nell'illusione di poter diventare cobelligeranti degli ex nemici anglo-americani.

Alle 18,30 il generale americano Dwight Eisenhower comunicò la notizia dai microfoni di Radio Algeri. Colse di sorpresa re sciaboletta (Vittorio Emanuele III), il suo capo del governo Pietro Badoglio, ministri, generali, alti burocrati e uomini di corte, che volevano tergiversare: non aveva dato loro tempo sufficiente per una fuga meno frettolosa.

Alle 19,45 Badoglio fu costretto a confermare la notizia dai microfoni dell'Eiar. Il corteo della vergogna partì da Roma il giorno dopo: era la fuga del governo, del re e della sua corte per Brindisi. Fu la prima capitale di un regno del sud da operetta. Territorio limitato a due province pugliesi, anglo-americani padroni della situazione dopo la rapida avanzata dalla Calabria.

Migliaia e migliaia di italiani lasciati in balia delle onde. Non era il tutti a casa. I tedeschi erano diventati feroci nemici in patria, senza che fossero ancora stati sconfitti. Anzi. L'Italia, unita faticosamente 84 anni prima, era di nuovo divisa in due: al centro-nord, la Repubblica di Salò con le armi dei tedeschi; al sud un fantomatico regno, amministrato in realtà dai nuovi Alleati. Un caos totale. Da altri migliaia di morti, sangue, lager, sofferenze.

La fuga del re fu decisa per salvare una parvenza di continuazione istituzionale di una patria morta, fu giustificato da storici e Savoia. Feroce fu Benedetto Croce su Vittorio Emanuele III e suo figlio Umberto II: la monarchia stava per vivere i suoi ultimi mesi. Ma in quel caos, conseguenza di una guerra fatale, inutile, velleitaria, voluta dal fascismo con il consenso di milioni di italiani, morirono civili e militari lasciati senza ordini. Tanti alzarono la testa, mostrarono coraggio, dignità: partigiani, militari, anche gente senza divisa che mostrò solidarietà e coraggio.

L'Italia dell'8 settembre tirò fuori energia per reagire: abbandonata da chi doveva governarla e guidarla, si riscattò. Ma tanti furono anche gli opportunisti, gli anti dell'ultima ora, i calcolatori. Sempre è stato così, nella nostra storia unitaria. Specie nel Sud, dove le rivoluzioni passive alla Cuoco sono state spesso perferite dalla maggioranza: fermi, senza prendere posizione, in attesa di vedere chi prevale.

Mai più 8 settembre, mai più gente furbetta che ci abbandona quando deve assumersi delle responsabilità. Eppure, certi esempi di questi giorni non fanno ben sperare. Fino a quando dovremo sentirci ripetere: italiani? Ah, siete sempre quelli dell'8 settembre. Bisogna riprendersi destini e scelte. Ricordare la storia deve pur servire a qualcosa.
Fonte: Il Mattino

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