...per il recupero della memoria storica, per la difesa, il riscatto ed il futuro del popolo meridionale, per una vera rappresentatività politica del Sud...
venerdì 11 maggio 2012
La nuova riforma del lavoro è già vecchia !
di Ivan Esposito
Il Governo Monti presenta la sua riforma del lavoro come una di quelle fondamentali di cui il Paese ha bisogno, necessarie per fare dell’Italia un Paese moderno ed efficiente. In materia di innovazioni legislative sul lavoro, non si può certo dire che in Italia ci si annoi: ce n’è stata una nel 1997 (la Legge Treu) e una nel 2003 (la Legge Biagi). Tutte naturalmente storiche, improrogabili, risolutive. Tutte pensate da gente di sinistra e percepite come peggiorative delle condizioni dei lavoratori.
La riforma del Governo Monti si propone di intervenire sostanzialmente su tre fronti:
l a t i p o l o g i a d e i c o n t r a t t i d i l a v o r o ,
l a l i c e n z i a b i l i t à ,
g l i a m m o r t i z z a t o r i s o c i a l i .
Il tema della licenziabilità – ovvero della modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - è quello più dibattuto, nella declinazione italica di dibattere: coagulare fazioni l’un contro l’altra armate che oscurano quasi del tutto l’oggetto del contendere. Il Governo vuole limitare fortemente il ricorso giudiziario da parte del lavoratore, circoscrivendo la possibilità del reintegro sul posto di lavoro solo ai licenziamenti illegittimi di natura discriminatoria. Ricordateil film Philadelphia con Tom Hanks, dove il protagonista veniva licenziato in quanto malato di AIDS? Ecco, in un caso del genere l’articolo 18 non viene abolito, ma anzi ne viene riconfermata l’estensione anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. Ma chi ha visto il film ricorderà anche che i cattivi della storia non sono stati così maldestri da dichiarare l’intento discriminatorio. Ci sarà sempre una giustificazione economica, una ragione organizzativa, insomma un “mi dispiace ma … ” da parte dell’impresa. E, di fronte a un licenziamento per ragioni economiche, anche se riconosciute dal giudice come illegittime, si potrà contare solo su un indennizzo. Sarà invece il giudice a scegliere tra indennizzo e reintegro in caso di licenziamento illegittimo con motivi disciplinari.
Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, il Governo vuole semplificare e risparmiare, creando un’assicurazione unica in luogo dei trattamenti di disoccupazione, mobilità e cassa integrazione attuali. L’intento semplificatorio è certamente condivisibile. La restrizione delle risorse finanziarie, che si aggiunge a mille altre misure analoghe, improntate cioè a far spendere meno allo Stato e a mettere in difficoltà le famiglie dei ceti sociali bassi e medi, è semplicemente suicida. Ma questa è un’altra storia.
Veniamo al disastro.Il Governo impone il contratto a tempo indeterminato come contratto dominante. Si tratta solo di propaganda, per il Governo e per il Sindacato. Prima di tutto perché, con le innovazioni in tema di licenziamento, il posto fisso – cioè quello a tempo indeterminato – non è più tale: l’imprenditore può cambiare l’organizzazione dell’impresa e licenziare, nella peggiore delle ipotesi a fronte di un indennizzo. Il secondo motivo per cui è criticabile questo aspetto della riforma è il fatto che l’appiattimento del lavoratore sulla figura del dipendente deprime ogni pratica di responsabilizzazione verso l’impresa. Va superata l’idea per cui al primo va lo stipendio e alla seconda gli utili, come se fossero due destini separati. Si possono invece sperimentare modalità per mettere in relazione i risultati dell’impresa con il reddito del lavoratore. Approfondiremo questo punto più avanti.
La critica di fondo che si può fare alla riforma del Governo, ed anche all’approccio del Sindacato, è che entrambe le parti interpretano lo sviluppo come produzione di cose. Più cose produciamo, più si crea lavoro. Più lavoro si crea, più è alto il reddito di cui dispongono i lavoratori per comprare le cose prodotte. Questo ciclo è finito. La battaglia da fare – se non come misura di emergenza – non è quella re-distributiva. E’ quella per un tempo liberato e una vita sostenibile, è quella per la felicità. Da questo punto di vista, i tre punti toccati dalla riforma del lavoro (contratti, licenziabilità, ammortizzatori sociali) possono vedere altre proposte.
Se i settori fondamentali di una nuova economia sono la cultura, l’agricoltura, la creatività, la tecnologia e l’ambiente, possiamo immaginare imprese piccole, elastiche, immateriali. In contesti del genere, un lavoratore non rimane legato all’impresa per via di un articolo di legge (sacrosanto in contesti industriali otto/novecenteschi) ma per la sua preparazione e i suoi apporti multipli, legati cioè all’investimento di suoi risparmi, alla conseguente partecipazione agli utili e al suo diritto alla trasparenza nella gestione. E’ un mondo partecipato e interconnesso quello che abbiamo davanti, con relazioni multiple e mobili, e allora perché non favorire questo processo anche nella vita economica? In questa ottica, in tema di contratti, le partite Iva (ovvero le collaborazioni da lavoro autonomo) e i contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro non andavano combattuti, ma al contrario arricchiti.
Se lavoro per un’impresa, è naturale che il mio reddito dipenda dall’andamento di questa: scende in periodi di crisi, ma sale se, anche grazie a me, si raggiungono risultati positivi.
Se lavoro in un’impresa, limitatamente ai miei mezzi, dovrebbe essere possibile per me investirvi per finanziarla, a condizioni migliori di quelle che l’impresa stessa trova sul mercato dei capitali. Su questi aspetti il modello cooperativo e la legislazione di riferimento (L.142/2001, istituto dei ristorni, prestito sociale etc.) è più avanti e avrebbe potuto fornire una traccia davvero innovativa su cui lavorare.
Se lavoro in un’impresa e posso perdere il lavoro (è un fatto che siano migliaia i disoccupati di questi anni, vigente l’articolo 18), devo poter cambiare lavoro, nel senso di impararne un altro in tempi brevi e flessibili. Un bancario che diventa un cuoco, un’operaia che si propone come sarta, un docente precario che sceglie l’agricoltura … Sembra una barzelletta, invece dovrebbe essere uno dei primi diritti di cittadinanza e non solo il risultato straordinario di singoli coraggiosi.
Infine, se vivo svolgendo più lavori, magari con più imprese, ma come cittadino attivo e non col perenne rimpianto del “posto”, devo poter contare su un sistema fiscale e contributivo che stia dalla mia parte, e non più da quella delle corporazioni e dei mariuoli. Il regime dei minimi al 5% di Irpef, zero Iva, zero Irap è ottimo, sebbene appesantito da alcuni limiti all’accesso e alla durata. Per i lavoratori autonomi, titolari di partita Iva ma non aderenti ad Ordini professionali, resta da riformare il fardello contributivo che invece si pensa di portare dal 28% attuale al 33% tra pochi anni. Confrontando il supporto assistenziale (aiuto fornito durante l’età lavorativa) e quello pensionistico futuro che l’INPS assicura a chi ha dai 40 anni in giù e appartiene a questa categoria, il prelievo del 33% rappresentata un vero e proprio furto sistematico e generalizzato.
Infine, gli ammortizzatori sociali.
In attesa di capire il funzionamento dell’assicurazione proposta dal Governo – che speriamo soprattutto rinsecchisca costi, procedure, uffici, luoghi di sottopotere delle parti sociali e proceda verso un salario minimo di cittadinanza – qualcuno dovrebbe chiedere a gran voce fondi di garanzia e contributi in conto capitale e in conto gestione per piccole imprese: una forma di micro-credito supportata dallo Stato.
Ricapitolando: la riforma del lavoro che nascerà dal gioco delle parti di governo, sindacato e grandi imprese incarna una visione desueta dell’economia e della società. Dobbiamo augurarci invece di lavorare meno e di lavorare meglio, di essere più felici potendo dedicare più tempo ai piaceri e agli affetti, non alla necessità di procurarci cose. Un mondo più felice vede sempre meno industrie e sempre più imprese legate alla cultura, all’ambiente, all’innovazione. In queste imprese non ci si rimane a lavorare per sempre, ma, fin tanto che ci si è dentro, si condividono lavoro, rischio e soddisfazioni. Si può immaginare di inventarsi un nuovo lavoro, magari come imprenditori di se stessi, grazie a curiosità che diventano abilità con percorsi formativi seri e tempestivi, con aiuti economici per partire e con un prelievo fiscale e contributivo compatibile.
Questo è il lavoro che vogliamo nel Paese che vogliamo, che un po’ somigli a felici esperienze del Mezzogiorno contadino, antiche eppure evidentemente all’avanguardia.
il ROSSO acceso del campo circolare ricorda il colore del sangue versato per le libertà dai partigiani che in ogni epoca pagarono con la vita la loro passione per la propria terra. E ancora il sangue degli operai nelle fabbriche, dei braccianti nei campi e di tutti i caduti al servizio dello Stato e della Giustizia nella lotta contro le mafie e la criminalità.
Su quel colore Rosso, in alto, nel simbolo, troviamo raffigurato l’INFINITO, di colore GIALLO rappresentato dal numero “otto” rovesciato da cui sembrano partire e allargarsi nuovi orizzonti.
Inserito in basso inserito nella scritta SUD, troviamo il simbolo giallo del giglio, segno e ricordo di un racconto storico offeso, attraverso il quale si chiede il ripristino di una verità storica, quella del sud, fin qui rimossa e umiliata .
Il nuovo simbolo del Partito del Sud indica con chiarezza un impegno verso il “FUTURO”, un impegno per i nostri figli perché possano decidere di partire, oppure di restare nella propria terra in piena libertà e senza alcun tipo di condizionamento.
Il nuovo simbolo rappresenta l'impegno del Partito del Sud verso questa terra, verso i diritti spesso dimenticati delle donne, degli uomini, dei giovani che la abitano.
- Vincenzo Emilio(Presidente di Sezione) - Bruno Pappalardo (Tesoriere)
- Iolanda Siracusano (Consigliere)
- Salvatore Cozzolino(Consigliere)
RESPONSABILE REGIONALE (CAMPANIA) :
Bruno Pappalardo
Guido Dorso
Il partito del Sud,unitamente al pensiero di Antonio Gramsci, si ispira all’azione di Guido Dorso, inascoltato profeta del Sud che nel dopoguerra fondò il Movimento popolare meridionale nella consapevolezza che il superamento delle difficoltà del Sud non poteva avere luogo senza il ricambio ed il rinnovamento della classe politica: rinnovamento, che, secondo Guido Dorso, poteva essere determinato da una nuova classe dirigente e da una rivoluzione delle coscienze indispensabile per favorire nuovi rapporti tra governanti e governati, tra amministratori ed amministrati, tra istituzioni e cittadini. Guido Dorso scriveva nel suo libro “la rivoluzione meridionale”: “No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia; non chiede aiuto, ma libertà. Se il mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l'esempio dei suoi figli migliori, tutto sarà inutile... “. "Cento uomini d'acciaio...la Questione Italiana è la Questione Meridionale"....
Vieni con noi...non aspettare!
Il Partito del Sud è una realtà
Libro prodotto dal Partito del Sud
Prefazione L.de Magistris - Introd. M. Emiliano
Noi ripartiamo...
A sostegno...sempre
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L'opera d'arte è finzione, Napoli è tutta naturale!
Ci sono posti dove vai una volta e ti basta... e poi c'è Napoli. (John Turturro)
Antonio Gramsci
Carmine Crocco
Omaggio ai briganti
“...molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni… le loro rivoluzioni… ma libertà non è cambiare padrone, non è parola vana ed astratta, è dire senza timore, è mio, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall’anima, è vivere di ciò che si ama, vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà!”
Carmine Crocco
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Enzo Riccio
Michele Dell'Edera (Ufficio Stampa)
Emiddio de Franciscis di Casanova
Rosanna Gadaleta
TESORIERE : Filippo Romeo
ADDETTO STAMPA : Iolanda Siracusano
PROBIVIRI :
Emiddio de Franciscis di Casanova, Giuseppe Lipari, Antonio Rosato.
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Intervento di Andrea Balìa al Teatro Sannazaro di Napoli il 22/12/2010
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