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lunedì 15 marzo 2010

MESSINA : L'ASSEDIO DEL 1861

un pò di storia

Il 13 marzo del 1861 la Real Cittadella di Messina si arrendeva a discrezione alle truppe piemontesi (italiane solo dal 17 marzo con la proclamazione del Regno d’Italia) del Generale Enrico Cialdini.
Inutilmente le Reali Milizie Borboniche della 13° Direzione Artiglieria, del 2° Battaglione del Genio, del 3°, 5° e 6° Reggimento di Linea con ben 455 vetusti cannoni cercarono di controbattere il micidiale fuoco di 43 nuovissimi cannoni rigati e 12 mortai delle truppe piemontesi di assedio…
Da allora ad oggi si sono sempre onorati i garibaldini conquistatori della Sicilia e gli oltre 10.000 piemontesi che espugnarono la Cittadella di Messina; mentre i poveri soldati meridionali che la difesero eroicamente, sacrificando in 47 la loro vita in difesa della Patria, furono vilipesi da tutti come soldati della “tirannide borbonica”… La potenza e la doppia gittata dei cannoni rigati piemontesi ridussero ad un cumulo di macerie in poco tempo l’antico bastione, che venne sgombrato dai soldati borbonici e subito occupato dai piemontesi. Il gran deposito Norimberga (pieno di polvere da sparo), centrato più volte, prese fuoco, rischiando di saltare in aria. Anche la zona della Cittadella, dove erano ricoverati anche oltre 1.000 civili (per lo più donne e bambini), subì un barbaro cannoneggiamento. Da parte borbonica si cercò di allungare il tiro dei vecchi cannoni interrandone una parte, ma perdendo così la facoltà di mirare.
Ma tutto fu inutile: la schiacciante superiorità dell’artiglieria nemica costrinse presto al silenzio i cannoni della cittadella.
Il 13 marzo, alle 7 del mattino Cialdini alla testa del 35° fanteria con musica e bandiera fece il suo ingresso nella Cittadella di Messina, dichiarando “prigioniera” la guarnigione borbonica. La resa fu firmata a bordo della nave Maria Adelaide. L’ottuso generale Cialdini non concesse neppure l’onore delle armi ai vinti che avevano fatto il loro dovere fino alla fine ed anzi al momento della resa respinse sdegnosamente la spada dell’anziano generale Fergola e gli disse in francese (lingua ufficiale del Regno di Sardegna): “Vous n’etes pas des italiens, Je vous cracherais sour le visage…! (Voi non siete italiani, vi sputerei in faccia)”. Frase che fece morire di crepacuore a Napoli qualche anno dopo il povero Fergola. La cavalleria d’altri tempi dimostrata dal Fergola fu così ripagata dal Cialdini, che nel resto aveva già dimostrato di essere lui un “buon italiano” bombardando vigliaccamente con i famigerati cannoni rigati il borgo di Gaeta già reso e mietendo la vita di migliaia di innocenti, “colpevoli” soltanto di essere rimasti fedeli alla Patria e al Re.
Francesco II di Borbone, dal suo esilio di Roma, ammirato dal coraggio e dalla fedeltà dimostrata dai suoi soldati a Messina, concesse loro una medaglia in argento, appositamente coniata a Roma, e un congruo premio in denaro.
Il 14 marzo, essendo state richieste più volte da Torino le bandiere della Real Cittadella di Messina, il generale Fergola rilasciò una dichiarazione nella quale affermava che avrebbero dovuto essere sei, ma che di esse non restavano che le aste essendo stati strappati i drappi dalle truppe quale ultimo gesto di fedeltà al Re Francesco II.

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