martedì 25 febbraio 2014
"Matteo Renzi e il Mezzogiorno dimenticato" di Alessio Postiglione
"Mi avete detto che non ho parlato di Mezzogiorno. Avrei
potuto dire le solite frasi sulla Questione meridionale: ma bastano parole in
libertà per avere la fiducia?"
Questa è la replica di Matteo Renzi in Senato: una giustifica per non aver
minimamente pronunciato la parola Mezzogiorno in occasione del suo primo
intervento. Risposta, all'attacco, sempre nel suo stile; mani in tasca,
sbrigativo, poco cerimonioso e concretezza:no
frills, niente fronzoli.
Dunque, perché perdere tempo nelle "solite frasi", dice
l'ex sindaco?
Lui farà,
mettendoci la faccia. Andando oltre le riserve indiane di quello che potremmo
definire un"meridionalismo di
maniera". Dopo gli anni dei professionisti della coesione,
un po' come i professionisti dell'anti mafia che criticava Sciascia,
è arrivato il momento di un vero cambio di passo. Basato su sostanza e
meritocrazia, non sulle liturgie dei sudologi,
più interessati a conferenze, a intercettare risorse clientelari o a svolgere
quel ruolo di mediatori di professione - tipico del notabilato politico
meridionale -, che a innescare processi di sviluppo. Perché quei mediatori
esistono, fin quando esiste la Questione meridionale, e la conservazione del
loro orticello professionale è vincolata all'esistenza di una peculiarità
meridionale da interpretare, non da cambiare.
Renzi, dunque, non sarebbe disattento al Sud, ma solo interessato
a un cambio di passo rispetto alle liturgie di questo meridionalismo di
maniera.
Voglio
crederci. Anche se è innegabile che il fiorentino abbia seguito fin qui un mix
da manuale Cencelli con un pizzico di politically correct da quote rose, per quanto riguarda i ministri.
Ogni ministro, infatti, è espressione plastica di un interesse
partitico, e l'unica liturgia da rottamare è stata proprio quella del
meridionalismo di maniera: dalla cancellazione del Ministero della Coesione o
per il Mezzogiorno, alla mancata nomina come ministri di politici di peso del
Sud, come il sindaco di Bari Michele Emiliano o quello di Salerno,Vincenzo De Luca, dati in pole dal
toto-ministri.
Comunque sia, credo in Renzi sul Sud, anche perché sono
personalmente contrario a questo meridionalismo di maniera. Che il
meridionalismo sia diventato un totem da de-tabuizzare non ci piove, ed è
condivisibile che il premier, con la freschezza irrituale che gli è propria,
spazzi via un certo rivendicazionismo piagnone che puzza di
assistenzialismo e pubblico impiego.
Ma il tema allora è: se il Ministero della Coesione e le conferenze
sono fuffa, cosa ha in mente Matteo Renzi per il Mezzogiorno?
Qui le cose si fanno più complicate e, forse, il premier, benché
allergico alle spiegazioni complesse a cui preferire slogan efficaci, dovrebbe
compiere uno sforzo per spiegarci la sua idea di Sud. Renzi
parla al cuore con frasi ad effetto, ma qui è necessario
ragionare e parlare al cervello.
Il fiorentino, ad oggi, ha sempre liquidato il Mezzogiorno con una
battuta. Non basta. Proprio dalle
sue scarse battute si coglie un certo riduzionismo
culturale che mi
preoccupa. Nella sua replica ai senatori, ad esempio, aggiunge: "Il
problema del Mezzogiorno è la necessità di una svolta
culturale, non più la cultura della lamentazione"
.
Al Sud, invece, non servono svolte culturali, o soprattutto e
soltanto svolte culturali.
Servono, in primis, politiche pubbliche che cambino quella
condizioni materiali che hanno determinato certi fenomeni culturali, come il
fatalismo o il familismo amorale, che rappresentano gli effetti della
subalternità del Mezzogiorno, non la causa. Non si tratta di negare che i
valori e la cultura possano co-determinare le traiettorie di sviluppo dei
territori; ma se non cogli il dato che la Questione
meridionale è una grande questione sociale, di povertà e
deprivazione fortemente concentrata dal punto di vista geografico, indulgi in
una concezione etnicizzante e romantica dei problemi economici semplicemente
falsa.
Il Mezzogiorno non è solo un problema culturale, né geografico, né
esclusivamente di legalità ed ordine pubblico. Non basta nominare meridionali
all'Interno, alla Polizia, alla Legalità, o all'anti-corruzione! Quello sì che
è meridionalismo di maniera. Non servono le quote ratione
materiae per i
meridionali!
Ma proprio perché la Questione
meridionale è una storia complessa, data dall'intreccio di
varie dinamiche, fra le quali quelle economiche sono strutturali, non la si può
archiviare come problema criminale o con una battuta. Non bastano "le
solite frasi". Renzi
dovrebbe parlare alla testa del Paese e non soltanto al cuore.
Fonte: www.huffingtonpost.it
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