...per il recupero della memoria storica, per la difesa, il riscatto ed il futuro del popolo meridionale, per una vera rappresentatività politica del Sud...

domenica 15 agosto 2010

TERRONE ERRANTE

Prima riflessione dopo più di tre mesi in giro per l’Italia a presentare il mio libro - Come è accolto a Nord e a Sud? – Perché “Terroni” sembra aver sollevato tanta attenzione, sentimenti, addirittura una sorta di “diffusione militante”?

Un sentire nascosto e forte percorre il nostro Paese, nel disinteresse del nostro Paese: la voglia di sapere e di ridiscutere le ragioni e i modi che ci tengono insieme. Se ho scritto un libro come Terroni, sulla nostra storia unitaria, è evidente che avevo avvertito tali fermenti, in me e intorno a me (i giornalisti sono antenne sociali, o dovrebbero esserlo, non quanto i poeti, ma più dei geometri…): mai, però, avrei immaginato di tale potenza, profondità e diffusione. L’Italia sta cambiando, forse è già cambiata, e chi la dirige e chi la racconta è rimasto indietro, fermo a quel che il Paese era, o persino alla sua degenerazione.
Non so più quante decine di inviti ho accettato; in quante città sono stato (in alcune, più di una volta); ma so che gli inviti giunti sono ancora più numerosi e sto accettandone per dicembre, gennaio; alcuni all’estero, in Svezia, Germania, Gran Bretagna; mentre mi chiedono la disponibilità a recarmi in America:Terroni è un libro errante, come il suo autore, ormai, e come quei tanti, troppi milioni di meridionali che dovettero andarsene, perché il modo in cui il nostro Paese fu unito sparse sangue, generò miseria e portò al Sud una piaga sino ad allora sconosciuta: l’emigrazione.
Questo non è il mio primo libro; e ho avuto l’immeritata fortuna di avere già degli entusiasti lettori, quasi tifosi, se mi si può passare il termine, soprattutto con L’elogio dell’imbecille. Ma questa volta è diverso. La più grande magia fra autore e lettore è quando il secondo dice al primo: «Hai scritto quello che non riuscivo a dire». Ovvero, quando intercetti qualcosa che è già nella vita degli altri e dai loro le parole che gli mancavano. Ho già goduto di questo privilegio; lo conosco. Per questo dico che con Terroni accade qualcosa di diverso: è lo spiraglio da cui erompono sentimenti a lungo rimasti nascosti, che condividevo e coglievo, ma di cui nemmeno intuivo la portata. Come se un mondo silente, o poco ascoltato, avesse trovato una voce. Non si tratta di un mio merito; e se c’è, è minimo rispetto alle circostanze che lo hanno così ingigantito.
E le circostanze non solo le stesse, a Nord e a Sud. I meridionali, a volte sanno la loro storia (pochi); ma i più non sanno di sapere. Nella loro memoria sepolta, inconscia, c’è, da qualche parte, muta, la consapevolezza di quello che il modo in cui è stata fatta l’Unità ha significato per il Sud; l’eco delle stragi, dei saccheggi, della disistima che continuamente ritorna e cresce; persino un cupo, indistinto risentimento, se non rancore, che viene rivolto contro se stessi, perché incapaci di liberarsene. Quindi, se volessi riassumere, esagerando, è come se la reazione dei meridionali a quel che il libro narra, fosse: «In fondo, l’avevo sempre saputo».
Quando faccio le presentazioni al Nord, è altro che osservo. Gli ascoltatori cominciano a seguirti attenti (in fondo, è la curiosità che li ha spinti lì, un interesse specifico), ma educatamente increduli; a mano a mano che il racconto avanza, li vedi disorientati, inquieti, infine mortificati. Quasi fosse colpa loro (una sciocchezza, naturalmente, perché ognuno non risponde che delle sue azioni). Al punto, che qualcuno comincia a giustificarsi con il vicino immigrato meridionale: «Ma io non ne sapevo nulla!». In quel momento, fra i due, pare cada un diaframma, un muro; e il meridionale (magari ignaro pure lui, fino ad allora) coglie una diversa considerazione, nel tono dell’altro; e se ne arricchisce.
Ricordo quando, più di vent’anni fa, intervistai Umberto Bossi; la conversazione iniziò nella sede della Lega e continuò in auto, mentre lui si recava nel Comasco, per un comizio (persino lui mi parve infastidito dalla megera che continuava a urlare: «Basta lavorare noi, per quella gente lì. E loro in pensione a 18 anni!»). Mi riaccompagnò a Milano il suo autista, “il Babini”. Strada facendo, ci fermammo a casa di un industrialotto sostenitore della Lega, per un bicchiere. Il discorso finì sul Risorgimento; e raccontai qualcosa delle stragi, dei saccheggi. Dopo un imbarazzato minuto di silenzio, il Babini mormorò: «Ma nessuno mi ha mai detto nulla di questa roba qui!». Vidi, sorpreso, che aveva gli occhi lucidi! Un po’ come il docente di filosofia di una delle principali università del Nord che, dopo aver letto Terroni, mi scrisse per dirmi d’aver pianto al capitolo sulle stragi e di essersi sentito colpevole: colpevole di non sapere.
Se il meridionale ha nel suo inconscio tracce della tragedia che si consumò al Sud, in nome dell’Unità, il settentrionale no, perché tutto avvenne lontano dai suoi occhi e glielo si tacque. Un lettore friulano ha scritto che, dopo Terroni, si adopererà in ogni modo, perché questo termine divenga un titolo onorifico.
Solo sapendo la verità condivisa circa la nascita (e non solo) del nostro Paese, settentrionali e meridionali possono superare pregiudizi e stereotipi che li rendono artatamente diversi, se non estranei, persino, qualche cialtrone vorrebbe, incompatibili. So quel che dico: lo vedo sulle facce dei miei interlocutori, quando apprendono del nostro passato nascosto; e una vita da cronista mi ha educato a saperle leggere le facce.

Pino Aprile


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