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domenica 7 ottobre 2012

Condannato il museo Lombroso: restituisca i resti del «brigante»


I nostri più vivi complimenti al "Comitato No Lombroso " ed al suo animatore Domenico Iannantuoni. 
( PdSUD)

Fonte: Antonio Carioti - Corriere della Sera
Sabato 06 Ottobre 2012



Esulta il comitato «No Lombroso», che esige la rimozione del criminologo veronese e delle sue teorie, accusate di razzismo antimeridionale, dai libri di testo e da ogni intestazione di vie, piazze scuole o musei. Un primo successo della battaglia contro lo studioso di origine ebraica è stato sancito dalla magistratura: il giudice Gustavo Danise, del tribunale calabrese di Lamezia Terme, ha stabilito che il museo universitario di antropologia criminale «Cesare Lombroso», situato a Torino, dovrà consegnare uno dei teschi esposti nelle sue sale al comune di Motta Santa Lucia (Catanzaro) e pagarne le spese di tumulazione. Il cranio in questione apparteneva a un residente del luogo, Giuseppe Villella, sospetto di brigantaggio e condannato per furto e incendio, che morì in carcere nel 1872. Cesare Lombroso, medico prima a Pavia e poi a Torino, ne sottopose il cadavere ad autopsia e, nell'esaminarne la testa, giunse alla convinzione di aver individuato le caratteristiche morfologiche del «delinquente nato». Da lì prese a costruire le sue teorie, secondo le quali la tendenza al crimine sarebbe una caratteristica atavica, particolarmente diffusa nel Mezzogiorno e soprattutto in Calabria, riscontrabile nell'aspetto fisico dei soggetti interessati. La conformazione del cranio, in parole povere, come prova di un'innata inclinazione al delitto. Lombroso sviluppò le sue tesi, da tempo rigettate come prive di fondamento dagli scienziati, raccogliendo un gran numero di resti umani. Poi la sua collezione privata divenne un museo a lui intitolato, che è stato riallestito nel 2009 dall'Università di Torino. Contro di esso è indirizzata la campagna del comitato «No Lombroso», di cui «la Lettura» si è occupata il 1° luglio scorso. «Non chiediamo la chiusura dell'allestimento — dichiara l'animatore del comitato, Domenico Iannantuoni —, ma il ritiro dei reperti ossei umani e, dove possibile, la loro restituzione alle comunità di origine delle persone cui appartenevano. L'istituzione torinese non è un museo anatomico, quindi non ha diritto di esporli. Magari li si potrà sostituire con degli appositi calchi in gesso o in plastica». Così è partita l'azione legale presso il tribunale di Lamezia Terme, promossa dal comune di Motta Santa Lucia sulla base delle norme per cui gli atenei potevano svolgere indagini scientifiche sui cadaveri dei condannati morti in carcere, ma dovevano poi, terminati gli studi, procedere alla loro sepoltura. Il che non è mai avvenuto, malgrado i reperti abbiano perso ogni interesse scientifico dopo la smentita delle teorie lombrosiane. L'Università di Torino si è opposta, sostenendo che il museo non ha alcuna intenzione di rilanciare concezioni ormai superate, ma si propone di documentare l'epoca del positivismo, di cui Lombroso fu esponente, rilevandone ovviamente anche i gravi errori. Il giudice però ha respinto questo argomento: sarebbe come se un innocente finito in galera, si legge nell'ordinanza, anche dopo il riconoscimento dell'errore giudiziario fosse trattenuto in carcere, «quale testimonianza degli errori che può commettere la giustizia penale». Non vi è dunque motivo, sostiene il magistrato, per cui il cranio di Villella debba rimanere esposto come esempio di una categoria umana bollata come criminale per natura in base a una teoria errata. Di conseguenza l'ateneo «deve restituire il cranio per la sepoltura, anche al comune di residenza in vita, in mancanza di eredi che abbiano formulato espressa richiesta».

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