...per il recupero della memoria storica, per la difesa, il riscatto ed il futuro del popolo meridionale, per una vera rappresentatività politica del Sud...

domenica 2 maggio 2010

Nel 2000 il periodico "L'indipendenza" rivolse una serie di domande al maestro Nicola Zitara su una serie di argomenti.
Tra le mirabili risposte riportiamo quella sul federalismo con un titolo che è tutto un programma.

"LO STRONZOBOSSISMO"

"Secondo te né il federalismo dì Bossi né quello fiscale e berlusconiano di Tremonti conchiuderebbero meno che niente, perché concernenti le uscite fiscali e, nella migliore delle ipotesi, le entrate e le uscite erariali. Riteniamo - smentiscici in caso contrario - che tu non riponga alcuna fiducia nemmeno nel "federalismo fiscale" prefigurato dal centrosinistra. In che senso ritieni che i veri problemi riguardano l'economia privata: produzione, concorrenza, scambi, capitale. credito, moneta, produttività del lavoro e del sistema nel suo complesso?"
Che federalismo è mai questo che ripartisce le entrate fiscali, in modo che le regioni ricche possono spendere di più senza aumentarsi le tasse? Un federalismo che assegna il gettito dell'IVA alla regione che incassa e non a quella che la paga? "Ma fatemi il piacere, fatemi…!", diceva l'intramontabile Totò". C'è molta gente del Sud che ha fatto il militare a Cuneo. Il sottoscritto fra gli altri, e se ne vanta.
La sola versione di federalismo che farebbe al caso nostro è quella che ripartisce le banche nazionali, le industrie nazionali, il turismo nazionale e straniero, la Scala di Milano, l'Arena di Verona, i mesi di pioggia, la Galleria degli Uffizi e magari il Colosseo, un tanto per regione. Dal canto nostro potremmo dare una quota parte delle giornate di sole e di quelle di scirocco, qualche milione di disoccupati e perfino una gamba dei Bronzi di Riace.
In verità il nostro problema riguarda ben altre cose che il fisco. Per esempio gli impedimenti che l'economia privata subisce dal confronto perdente con le economie evolute; la formazione e l'uso del surplus sociale; la forma d'aiuto che si dà a chi perde il lavoro; le regole che disciplinano il mercato, e chi ha il diritto di dettarle; la stessa legge, che appare uguale solo per chi ruba al popolo e diseguale per i ladri di polli; il traguardo esistenziale, che si presenta equo per chi lavora in banca, al servizio dell'usura, e iniquo per chi ha spinto per tutta la vita la carretta.
Alle vicende relative alla genesi sbilanciata del mercato unico nazionale ho già accennato, forse quanto bastava ad annoiare il lettore. Con la speranza di non essere picchiato a sangue, oso aggiungere delle pagine su fatti meno antichi.
Il tentativo che lo Stato italiano fece, a partire dagli anni cinquanta, per riparare a qualcuno dei guasti provocati da una politica imbecille e malvagia - intendo dire proprio una politica così sciocca da ammazzare la gallina dalle uova d'oro - assunse la tipologia dell'intervento speciale. La Cassa per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno prese dichiaratamente abiti rooseveltiani, da Tennessee Valley, con il professor Rostow accampato a Roma, a misurare la pressione al Sud.
Veramente, in tale circostanza, la straordinarietà era tutta nella tabularità delle azioni rispetto a un fine, che poi non fu in effetti raggiunto. Per il resto, l'intervento, straordinario non fu; ma solo l'ordinaria politica che qualunque Stato, che non fosse miserabile come quello italiano, avrebbe fatto. Straordinario dunque solo per il metodo, e forse anche per il fatto che, per la prima volta nella storia italiana, lo Stato nordista veniva a dare e non a prendere.
A distanza di trent'anni si deve onestamente ammettere che, al principio, la Cassa non fu solo una grancassa. Nella prima fase conseguì i risultati che si prefiggeva. In appresso, costretto il governo a rimangiatasi una larga parte del progetto, non conseguì i risultati che non si prefiggeva più, sebbene continuasse a strombazzarli, onde portare voti ai partiti di centrosinistra. Comunque, nel giro di dieci o quindici anni, il Sud ebbe la luce e l'acqua dove non c'erano; e dove c'erano già, li ebbe a immagine e simiglianza della madrepatria padana. E poi centrali elettriche, strade, edifici scolastici, ospedali, attrezzature sportive ecc. La profusione di cemento e le architetture moderne cambiarono il volto dell'ambiente urbano, tanto che i contemporanei s'illusero che ci sarebbero stati altro lavoro e nuove produzioni.
La mancanza di occupazioni era il male più doloroso. Le nuove e diffuse assunzioni clientelari, che coincisero con l'arrivo delle opere pubbliche, configurarono un modello nuovo (e scorretto) di occupazione; nuovo per la strada che bisognava percorrere onde arrivarci, e nuovo in quanto, più che di un lavoro, si trattava di uno stipendio così generoso che, in un ambiente dove i privati, per campare, lavoravano dieci e dodici ore al giorno, pareva un regalo.
L'intervento si estese anche all'agricoltura e all'industria. Nel settore primario si ebbe la riscoperta delle pianure e delle terre vallive (la cosiddetta polpa), dove furono realizzate opere stabili di notevole consistenza e furono riportate alla produzione terre antiche, abbandonate da millenni (per esempio il Metapontino e la Sibaritide). Purtroppo, l'intervento in agricoltura entrò in contraddizione con la politica economica nazionale. Infatti, mentre la Cassa puntava alle colture alberate, e in particolare agli agrumi, a livello di politica comunitaria erano le industrie meccaniche - la FIAT e gli altri produttori di macchinari - a dettare legge. Ora, le mire espansionistiche di tale comparto s'indirizzavano verso i paesi del Mediterraneo, in particolare la Spagna. Questi paesi accettavano di buon grado le forniture italiane, ma dal canto loro chiedevano di equilibrare la bilancia commerciale proprio con l'esportazione degli agrumi. L'Italia acconsentì alle richieste. Il risultato fu Fiat-Meridione 5 a 0. L'agrumicoltura prese l'andamento folle della tela di Penelope, di giorno s'allungava e di notte veniva scorciata.
Nel campo industriale fummo più fortunati: non ci volle molto a capire che i progetti governativi erano bloccati da resistenze industriali, le quali assunsero toni - è dir poco -scomposti. La Confindustria ingaggiò in Inghilterra un'economista di mezza tacca, Vera Lutz, che ai suoi occhi aveva il merito di sostenere che sarebbe stato più economico per l'Italia spostare popolazioni dal Sud al Nord, anziché spostare quattrini dal Nord al Sud. La Confindustria volle dare al pubblico l'idea che, a gestire la nazione, meglio del padronato non c'era nessuno. Quello sciamano di Montanelli fu messo, come Gino Capponi, in cima al campanile, a suonare le campane della padanità über alles. L'Italia, dalla cintola in su, fu tutto un tremore. Le colonne del Corriere della Sera sputavano fuoco. La Stampa era piombo rovente. Qualcuno temette che il Duce sarebbe risorto e che questa volta avrebbe marciato su Catanzaro. Alla fine si misero di mezzo Aldo Moro ed Emilio Colombo, che, come era loro mestiere, allungarono il vino con l'acqua. Montanelli fu messo a cuccia, la Stampa e il Corriere incassarono un premio sulla carta e il padronato padano ebbe l'assicurazione che lui - e lui soltanto - avrebbe ottenuto soldi per industrializzare il Sud. Come a ciò abbia provveduto, lo vedono tutti. Lasciamo in pace Rovelli e Ursini nella loro tomba, a fornire alimento ai vermi, e anche Pomigliano d'Arco, che poco mancò che non fosse paragonata all'Arca di biblica memoria. Segnaliamo invece ai posteri l'unico risultato ricavato dal Sud da tanto arrovellarsi di cervelli e da tante imposte straordinarie: l'inquinamento di Taranto e di Siracusa. Nient'altro, perché persino l'ipotesi di rilanciare la piccola industria nei settori maturi - a partire dall'industria bianca che era nella tradizione sudica - morì sul nascere. E con lei migliaia di piccoli fessi che, stimolati dalle promesse, s'erano avventurati nelle nuove imprese, immolandoci i loro scarsi danari (il Sud è un cimitero d'industrie, annotò il Corriere, e ancora si sta asciugando le lacrime). Da quella marcia funebre che diventò la Cassa è venuta fuori, però, a distanza di alcuni decenni, qualcosa di veramente galvanizzante, il primo presidente sudico della Confindustria. E poi c'era qualcuno che sosteneva che l'Italia era fatta, e che mancavano soltanto gli italiani.
Il federalismo è un'idea di Bossi. Sembra concepita da Moliere nelle more tra la composizione dell'Avaro e quella del Tartufo, e alla Padania serve per non fare il soldato. Come idea liberatrice dei pesi che il Nord sostiene a favore del Sud, è solo un'idea cretina. Infatti il sistema è già strutturato in modo che il Nord abbia dal Sud quel che il Sud è capace di dare, e dà patriotticamente. E non l'opposto. Certamente il tribalismo federale non cambierà i rapporti Sud/Nord, i quali sono già iscritti nei meccanismi di mercato, nelle merci che tolgono lavoro, nella gestione nordista del credito. La cosa nuova dopo cinquant'anni è che il Sud non avrà più soldi da spendere. Ma anche il Nord avrà ben poco da incassare. E poi, adesso che tutti vedono Roberto Formigoni atteggiarsi a cannibale, la gente comincia a chiedersi perché Bassolino non faccia altrettanto; se non sia il caso d'affidare la cosa a don Rafele Cutolo.
In questa Italia tribale, che il povero Agnelli, patriotticamente, si dissangua a tenere unita portando la Juventus a vincere un campionato dopo l'alto e la Ferrari in testa alle classifiche mondiali, alcuni, come i trevigiani, si scalmanano a volere la libertà, perché convinti che potranno mangiare i gatti liberamente. Altri, come i piemontesi, che non sono ancora riusciti a imporre la bagnacauda come piatto nazionale, risfoderano le baionette, per imporla con le armi. Altri ancora, come i fiorentini fanno solo l'occhio di pesce, perché credono che guazzeranno in eterno fra i marchi, i dollari, le sterline e i yen. E Roma? Roma è troppo popolosa per campare di soli turisti, ma accetta l'idea federalista perché le hanno promesso un giubileo in tutti gli anni pari, compresi i bisestili.
Il Sud - che nella vita nazionale prima contava poco, perché dava senza fare la fattura, e adesso conta zero, perché funziona da imbuto: rilascia ciò che incassa, senza pretendere lo scontrino - che farà di sé? Ovviamente, rimessa in riga la spesa, sarà consegnato alla classe politica locale, fatta dalle stesse persone che, avendo la residenza a Roma, fanno parte della classe politica nazionale. Cioè gli ascari.
Ora, è arcinoto che i galantuomini non sono buoni a governare. Non sanno fare altro che servire un padrone forestiero. Aveva ragione Croce, l'hanno sempre fatto. L'intrepido Ruggiero di Lauria serviva gli aragonesi, il fiero Ettore Fieremosca, immortalato da Massimo d'Azeglio e da tre o quattro registi, serviva la Spagna, l'eroica Luigia Sanfelice - su cui sono piovuti lacrime e romanzi senza fine - serviva la Francia, il canuto Francesco Crispi, dopo aver servito da giovane Camillo Benzo, in vecchiaia, per sole ventimila lire, si mise al servizio della Banca Commerciale, Aldo Moro, tragicamente finito, non ho mai capito chi servisse, certo è che, per essere universalmente compianto, non serviva la sua terra, cioè gli innominabili terroni.
Il sistema è fatto, il federalismo non frenerà il rastrellamento dei surplus, l'invasione delle merci padane e comunitarie, non porrà riparo all'improduzione, non inventerà il lavoro che non c'è. Anche una speranza generalizzata, quella di diventare tutti forestali, pare svanire. L'Italia tribale sarà identica a quella che lo Stato italiano ha costruito sotto l'egida del centralismo nordista - senza peraltro affaticarsi molto - in centoquarant'anni di infelice unità. Ovviamente per vendere le sue merci, il Nord continuerà a spingere con l'idea che "come me, non c'è nessuno".
Ma la sola ricchezza propria - quella che viene dalla produzione interna - non permetterà al Sud di continuare nell'attuale livello di benessere privato. E bisogna aggiungere altresì che, con quello che riescirà a sborsare all'erario, il Sud non potrà permettersi dei servizi sociali come quelli attuali che, sebbene funzionino male, costano tuttavia i soldi che le case farmaceutiche e le industrie sanitarie pretendono, cioè molto. Bossi, quando dice questo, dice cosa assolutamente esatta. Dove sbaglia - assieme ai filibusti Bocca e Montanelli, a quell'asino di Miglio e a Cacciari, filosofo dello retromarcia - è quando sostiene che al Sud non spettano, per il solo fatto che non ce l'ha. L'attuale condizione di sviluppo e pieno impiego che si ha in tutto il Centronord, se è stata pagata da qualcuno, questo qualcuno è stato il Sud, perché non solo ci ha messo tanto lavoro quanto gli altri, ma ci ha aggiunto l'astinenza, a cui gli altri non si sono dovuti piegare nella stessa misura, e il dolore degli emigrati, che in nessun altro luogo hanno raggiunto eguale numero.
Ma l'Italia è quella di sempre. Bossi l'ha solo rivelata a tutti. E per noi è meglio perderla, che tenercela. Di fronte a tanto smaccata ingratitudine, ognuno per la sua strada. Dopo faremo anche i conti. Siamo sì alunni del Sole, ma fino alla curva. Cosicché non saremo così minchioni da continuare a cantare scurdammuci 'o passato, simme 'e Napoli, paisà.
Il federalismo, in nessuna delle sue versioni, contiene gli elementi perché il paese meridionale risalga in treno. Niente, che io intuisca, aiuterà la formazione di una classe politica sub-nazionale, e neppure una classe politica municipalista come ce ne sono tante in Italia, da quella emiliana a quella toscana, a quella veneta. La base sociale che la produce - la borghesia - è corrotta da sempre. A Cavour bastarono poche centinaia di migliaia di lire per comprarsi gli ammiragli, i generali, i tenenti d'artiglieria e i cadetti di marina. Il sistema padano se n'è giovato in modo, a dir poco, vergognoso. Ora, stante il clima che regna a livello di classe politica, il federalismo non farà altro che dare una mano all'ascarume corrotto, il quale sin dal tempo dell'occupazione sabauda gode di una tacita impunità quando ripiana i bilanci familiari - sbilanciati dal tenore di vita padano - ficcando le mani nei cassetti dell'erario. Lo Stato - un estraneo predone - ha tanto tollerato queste ladronerie, che la morale sociale vi si è conformata, e non condanna chi frega Pantalone. Robba du guvernu, cu non futti vai 'o 'nfernu.
Quando il federalismo avrà ridotto all'osso la spesa pubblica, questi signori staranno sempre a rovistare nei cassetti alla ricerca di qualche monetina dimenticata. Ma mettiamo pure che la nostra classe politica regionale assuma imprevedibilmente la tipologia della classe politica irlandese, e chiediamoci cosa mai potrà fare di brillante - a meccanismi di mercato immodificati - se non guidare la ritirata. Quale sarebbero mai le libertà nuove, associabili al federalismo? Da una tabella elaborata da Sole24Ore, in materia di entrate regionali si apprende che in Lombardia l'incidenza delle entrate erariali regionali è calcolata in misura dell'81 per cento, mentre l'erario calabrese avrà un incasso pari al 23 per cento delle attuali entrate correnti. Traducendo le parole in fatti, la Calabria avrà il 60 per cento di minori entrate. E' facile stimare che, con le entrate proprie, le Regioni meridionali, Sicilia inclusa, non riusciranno a pagare i medici, gli infermieri e le medicine. Altro che ripulire i fiumi e ripiantare i boschi! Qui, non dico dopodomani, ma da domani stesso sarà un'impresa diabolica per le Regioni assicuraci l'acqua da bere.
Se potessimo definire, o quantomeno influenzare le regole del gioco mercantile, se avessimo le mani mezze libere in materia di credito, di commercio internazionale, di politica estera, di politica agricola e industriale; se avessimo voce in capitolo nel campo della sanità e dell'istruzione; se potessimo lavorare a favore di una moralità restaurata in materia di spettacoli e tempo libero; se ci fosse consentito avere in gran dispitto la Ferrari e le Juventus, o fabbricare automobili che vanno a metano e non superano i 100 chilometri l'ora; se potessimo fare, del turismo, un cortese forma di ospitalità non gratuita e non l'immonda speculazione che oggi è; se ai nostri figli potessimo fornire una cultura gentile ed educarli allo spirito critico; se potessimo formarli al coraggio fisico e morale, all'onore, alla lealtà, all'amore degli altri esseri sensibili e delle cose - delle stelle, del sole, della luna, del mare, dei campi coltivati e dei boschi - allora, solo allora, il federalismo avrebbe un senso.
Nonostante i nostri immensi difetti, noi siamo la civiltà più antica d'Europa, una delle più antiche del Mediterraneo. Non c'è quindi arroganza quando diciamo: il sistema che avete costruito, tenetevelo voi. Noi andremo per un'altra strada. Su di essa ci avviamo perché costretti, in pratica cacciati, ma strada facendo ci renderemo conto che ci avevate reso la vita invivibile. Che la vita è un'altra cosa.
Fra tante cose negative dello Stato sociale, nella sua versione coloniale e di sbocco mercantile, una positiva c'è sicuramente stata: l'obbligo scolastico. Negli ultimi trent'anni la scuola - pur con mille deficienze e ubbidienze passive al sistema imperante - ha formato, nel Sud, un esercito industriale di riserva fra i più capaci che ci siano sulle due sponde dell'Atlantico. La nostra scommessa vincente sta solo in questo, e nell'aiuto fraterno che daranno gli emigrati. Questo popolo batterà la classe politica corrotta, si libererà dalla dipendenza mercantile e culturale, e insegnerà ad altri popoli tenuti in soggezione come si fa a liberarsi dall'infelicità.
Fonte : www.eleaml.org

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