sabato 20 dicembre 2014
Intervista estremamente interessante di Left allo scrittore Ermanno Rea...
il nostro Dirigente, membro del CDN del Partito del Sud, prof. Giovanni Cutolo ci segnala quest'intervista estremamente interessante di Left allo scrittore Ermanno Rea....
Partito della nazione, ma la nazione dov'è...?
«Il
signor Renzi vuole fare il partito della nazione? Prima pensi a unirla, la
nazione, perché adesso è spaccata». Parla
della frattura tra Nord e Sud dell’Italia, Ermanno Rea, e parla
anche del presidente del Consiglio e del suo programma di «unanimismo
elettorale» che però, avverte lo scrittore, non serve al Paese. Anzi, potrebbe
renderlo ancora più immobile: un’altra
occasione persa dopo 150 anni di unità rimasta sulla carta. E
le ricette del presidente del Consiglio, a proposito di integrazione nazionale,
continua Rea, non portano nulla di nuovo rispetto ai suoi predecessori
Berlusconi, Monti e Letta.
Abbiamo
incontrato lo scrittore napoletano nei giorni in cui lo scontro tra sindacati e premier aveva
raggiunto una durezza mai vista finora a sinistra. Anche se già
in precedenza Renzi non aveva risparmiato – talvolta con uscite non
propriamente tenere – chi all’interno del Pd aveva mostrato di avere un
pensiero diverso dal suo. Insomma, quella del premier – per iperbole, certo –
potrebbe sembrare una gestione del potere che richiama la «polverizzazione di
ogni forma di dissenso» come scrive Ermanno
Rea in Mistero
napoletano (Einaudi) la storia di una donna comunista, allo
stesso tempo utopista e ribelle, schiacciata dall’ortodossia comunista nella
Napoli degli anni Cinquanta.
Durante
l’incontro con Rea nella sua bella casa romana popolata di libri e fotografie
(«scattate con la Leica») verrebbe quasi da azzardare una domanda su un eventuale, ipotetico
parallelismo tra i due partiti e i due leader. «Ma quelli di
Togliatti e Renzi sono due mondi diversi!» esclama sorridendo questo elegante
signore di 87 anni dalla barba candida e dagli occhi chiarissimi. Giornalista
de l’Unità negli
anni Cinquanta – quando dominava la figura di Giorgio Amendola, il “maestro”
del presidente Napolitano – Rea ha vissuto in prima persona quel clima politico
di controllo e di sospetto che si insinuava lentamente nelle vite delle
persone, fino a distruggerle. Accadde alla Francesca di Mistero napoletano, così come
al personaggio dell’ultimo libro Il
caso Piegari (Feltrinelli) fatto impazzire dal comunismo allora
imperante sotto il Vesuvio.
Ritorna
poi lo scrittore sul confronto
tra passato e presente: «Io non sono un difensore a oltranza di
Togliatti ma devo dire che era di una cultura sterminata, di una raffinatezza…
Renzi, invece, nella sua aggressività rivela una rozzezza di fondo, percepisce
come un primitivo che il proprio successo sta lì e cerca di cavalcarlo nel modo
più spregiudicato». Ma un parallelismo tra la politica di ieri e quella di
oggi, utile a comprendere la crisi attuale, invece è evidente e drammatico allo
stesso tempo. «La questione meridionale», afferma convinto lo scrittore.
Ermanno
Rea, nel suo ultimo libro Il caso Piegari quando parla di
«attualità di una sconfitta» si riferisce alla questione meridionale?
Sì,
è proprio la questione meridionale che può essere affrontata solo come
questione nazionale. È questa l’attualità della storia che racconto nel libro.
A Napoli negli anni Cinquanta c’era un medico di grandissimo talento, Guido
Piegari, uno scienziato che aveva una cultura storica gigantesca e che gestiva
il gruppo Gramsci, molto importante in città in quegli anni. Lui dissente da
Giorgio Amendola (responsabile della Commissione meridionale del Pci, ndr), critica la sua visione
del meridionalismo e giudica il dirigente comunista uno che non promuove una
politica a favore dell’integrazione nazionale, gramscianamente intesa
nell’incontro della classe operaia del Nord con i contadini del Sud. Piegari
viene espulso dal Pci. Come sempre, mettendo in moto una macchina del fango –
si dice che è mezzo pazzo – e provocando in lui anche un disastro psicologico.
Come il mio amico Gerardo Marotta, presidente dell’Istituto per gli studi filosofici,
che faceva parte del gruppo Gramsci, io opto per la visione proposta da Guido
Piegari che affermava la necessità dell’integrazione nazionale.
Veniamo
all’oggi: quali sono le conseguenze della mancata integrazione tra Nord e Sud?
I
dati dell’ultimo rapporto Svimez parlano chiaro, addirittura si denuncia il
rischio di desertificazione per il Sud. Io sono convinto che l’Italia non sarà
in grado di uscire dal suo baratro fino a quando non realizzerà una unità
nazionale. Se uno oggi mi dovesse chiedere qual è la malattia del Paese, la mia
risposta convinta sarebbe questa: un’infezione profonda e lontana mai sanata
che si è sempre più aggravata, la frattura tra Nord e Sud. Adesso perdiamo
tutti: anche il ricco Nord è in crisi, e le periferie scoppiano là non meno che
a Roma o Napoli. Com’è possibile che l’Italia, in una situazione di questo
genere, possa riuscire a trovare una sua credibilità anche internazionale e una
sua capacità di rigenerarsi? Tornando a ciò che racconto nel libro, esiste una
responsabilità comunista? Su questo sono cauto, il Pci ha avuto tanti torti ma
anche tanti meriti. Io sostengo solo che non si è mai voluto rivedere
autocriticamente la vicenda della questione meridionale e riuscire a separare,
come si suol dire, il bambino dall’acqua sporca.
Fonte: www.left.it
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