di Edgar Morin
(traduzione di Giovanni Cutolo)
"Purtroppo i nostri
dirigenti sembrano totalmente superati, incapaci di fare diagnosi corrette
della situazione e tantomeno di proporre soluzioni concrete, inadeguati al
livello delle sfide. È come se una piccola oligarchia interessata esclusivamente
al suo avvenire a breve avesse preso i comandi." (Manifesto Roosevelt
2012)
Una "corretta diagnosi"
implica un pensiero capace di riunire e organizzare le informazioni e le
conoscenze disponibili, che però sono compartimentate e disperse.
Questo pensiero dovrà stare
attento a non cadere nell'errore di sottovalutare l'errore e dovrà evitare di
rimanere vittima dell'illusione di sottotovalutare l'illusione. Errore e
illusione condussero i responsabili politici e militari della Francia al
disastro del 1940; errore e illusione condussero Stalin a far credito a Hitler,
rischiando l'annientamento dell'Unione Sovietica. Tutto il nostro passato,
anche quello più recente, brulica di errori e di illusioni quali l'illusione di
un progresso indefinito della società industriale, l'illusione della
impossibilità di nuove crisi economiche, l'illusione sovietica e quella maoista
e oggi ancora l'illusione di uscire dalla crisi dell'economia neoliberale con
gli strumenti economici di quello stesso neoliberismo responsabile della crisi.
L'errore non porta soltanto a non
vedere i fatti quanto piuttosto a una visione unilaterale e riduttiva che fissa
esclusivamente un solo aspetto di una realtà che è al tempo stesso una e
molteplice, fondamentalmente complessa.
Orbene, il nostro insegnamento
che pur ci fornisce innumerevoli fonti di conoscenza, non ci dice nulla sui
rischi causati dall'errore e dalla illusione, che sono i problemi fondamentali
della conoscenza e tantomeno ci insegna quali debbano essere le condizioni di
una conoscenza pertinente, in grado di affrontare la complessità delle realtà.
Notre machine à fournir des connaissances,
incapable de nous fournir
Paradossalmente la scollegata
frammentazione delle conoscenze produce, nel mondo degli esperti e degli
specialisti, un nuovo tipo di assai dotta ignoranza. Una dotta ignoranza incapace
di rilevare lo spaventoso vuoto del pensiero politico che si ritrova in tutti i
partiti e in tutti i paesi del mondo.
Noi tutti abbiamo visto nei paesi della "primavera araba" ma anche in
Spagna e negli Stati Uniti una gioventù animata da nobili aspirazioni alla
dignità, alla libertà, alla fraternità oramai perdute dai più anziani,
addomesticati o rassegnati. Abbiamo visto che questa energia dispone di una
intelligenza strategica pacifica che è stata capace di abbattere ben due
dittature. Ma abbiamo anche visto questa gioventù dividersi, abbiamo visto i
partiti politici incapaci di formulare una linea, di indicare una via, di
formulare un disegno prospettico e cosí abbiamo visto dovunque nuove
regressioni a detrimento delle recenti conquiste democratiche.
Questo male è generalizzato. La sinistra è incapace di trarre dalle sue radici
libertarie, socialiste e comuniste un pensiero che risponda alle attuali
condizioni della evoluzione e della mondializzazione. Essa è incapace di
integrare la fonte ecologica necessaria alla salvaguardia del pianeta. Il
presidente di sinistra di una Francia di destra non può nè ricadere nelle
illusioni della vecchia sinistra nè perdere la propria identità sostanziale
mettendosi a rimorchio della destra. È condannato ad andare avanti. Ma ciò
richiede una profonda trasformazione del modo di vedere le cose, della
struttura stessa del pensiero. Una trasformazione che consenta la
individuazione di una linea, una via, un progetto capace di riunire e
armonizzare tra loro le grandi riforme che aprirebbero una nuova strada.
Vorrei accennare a quale potrebbe
essere questa nuova linea, riprendendo quanto già indicato sia ne "La
Via" che ne "Il Cammino della Speranza", da me scritti entrambe
in collaborazione con Stéphane Hessel.
Vorrei innanzitutto osservare che sarebbe molto attuale e opportuna una riforma
della conoscenza e del pensiero del sistema di educazione pubblica.
L'assunzione di oltre 6.000 nuovi docenti dovrebbe consentire la formazione di
insegnanti di nuovo tipo, preparati a trattare i problemi fondamentali e
globali ignorati sinora dal nostro insegnamento: i problemi della conoscenza,
della identità, della condizione umana, dell'era planetaria, della
comprensione umana, dell'etica.
Rispetto a quest'ultimo punto,
l'idea di introdurre l'insegnamento di una morale laica mi appare necessario
ancorché insufficiente. La laicità all'inizio del XX secolo era fondata sulla
convinzione che il progresso fosse una legge immutabile della storia umana alla
quale si accompagnava necessariamente il progresso, quello della ragione e
della democrazia.
Oggi invece sappiamo che il
progresso umano non è nè sicuro nè irreversibile. Conosciamo le patologie della
ragione e non possiamo più tacciare come irrazionali le passioni, i miti, le
ideologie. Dobbiamo ritornare alle fonti prime della laicità, quelle dello
spirito del Rinascimento che comportano la problematicizzazione. Dobbiamo
problematicizzare anche quegli elementi che ci erano apparsi come portatori di
soluzione, vale a dire la ragione e il progresso.
Quale morale allora? Per uno
spirito laico le fonti della morale sono antropo-sociologiche. Sociologiche nel
senso che comunità e solidarietà sono contemporaneamente fonti dell'etica e
condizioni del benvivere in società. Antropologiche nel senso che ogni soggetto
umano porta con sè una duplice logica: una logica egocentrica che lo pone
letteralmente al centro del mondo e che conduce all' "io
innanzitutto"; una logica del "noi" che risponde al bisogno
d'amore e di comunità che si ritrova nel neonato e che in seguito troverà il
suo sviluppo nella famiglia, nei gruppi di appartenenza, nei partiti politici,
nella patria.
Noi viviamo in una civilizzazione
nella quale le antiche solidarietà si sono degradate, nella quale la logica
egocentrica si è sovrasviluppata e nella quale la logica del "noi"
collettivo si è "sottosviluppata". Sono queste le ragioni per le
quali occorrerebbe sviluppare, oltre all'educazione, una grande politica della
solidarietà. Una politica che comportasse l'obbligo per i giovani di ambo i
sessi a prestare un servizio civico di solidarietà, ma che prevedesse anche la
creazione di Case della Solidarietà volte a soccorrere le persone in pericolo e
abbandonate.
Ciò detto, si può ben comprendere
come uno degli imperativi politici odierni sia quello di promuovere lo sviluppo
congiunto di cose che appaiono antagoniste fra loro, come l'autonomia
individuale e la partecipazione comunitaria.
Possiamo dunque intendere che le riforme
della conoscenza e del pensiero non siano altro che i preliminari, necessari ma
non sufficienti, a qualsivoglia rigenerazione e rinnovamento politico, a ogni
nuova via per affrontare i problemi vitali e mortali della nostra epoca. Possiamo
infine vedere come sia possibile oggi iniziare una riforma dell'educazione
attraverso l'introduzione della conoscenza dei problemi fondamentali e vitali
che ciascuno ha l'obbligo di affrontare come individuo, cittadino, essere
umano.
Edgar Morin, sociologo e filosofo
LE MONDE del 1.1.2013
( traduzione di Giovanni Cutolo)
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