di Patrizia
Penna
Fonte:
Quotidiano di Sicilia
Uno
studio elaborato dal prof. Gioacchino Amato dell’Università degli Studi di
Firenze sfata il luogo comune dell’assistenzialismo ai meridionali. La Sicilia
non ha nessuna società locale quotata alla Borsa di Milano. Capitali in fuga
dalla nostra Isola
PALERMO
- Uno studio, di prossima pubblicazione, elaborato dal Professor Gioacchino
Amato, docente di Diritto dei Mercati Finanziari presso la Facoltà di Economia
dell’Università degli Studi di Firenze, sfata il luogo comune secondo cui il
Meridione d’Italia sarebbe finanziariamente assistito dall’Italia
centrosettentrionale.
In
realtà, secondo quanto emerge da questo studio, il Sud Italia finanzierebbe
massicciamente, attraverso il risparmio privato, le regioni
settentrionali.
Prof.
Amato, questa tesi potrebbe liberarci definitivamente da quell’odiosa etichetta
di “assistiti” di cui noi siciliani sinceramente ci siamo un po’ stancati. Ce la
dimostri in concreto.“Basti pensare al risparmio privato che affluisce
quotidianamente sui mercati finanziari. Da siciliano, ho esaminato il caso della
Regione Sicilia la quale, pur essendo una regione molto vasta (la sua
popolazione equivale a più dell’8% della popolazione nazionale), non ha nessuna
società locale quotata presso la Borsa di Milano. Ciò comporta, oltre a un
deficit di capitalizzazione delle imprese siciliane, che il risparmio privato
che le famiglie siciliane decidono di destinare all’investimento finanziario,
affluisce nel capitale delle aziende centro-settentrionali, rafforzandone la
struttura patrimoniale e consentendone la crescita sui mercati. In breve,
sarebbe il Sud a finanziare il Nord, attraverso il risparmio delle famiglie
meridionali, e non viceversa”.
La
Sicilia sta vivendo una campagna elettorale molto intensa ed è sotto i
riflettori nazionali. Ma a parte i soliti giochi di alleanze, le proposte “vere”
e concrete latitano. Cosa dovrebbe fare il futuro presidente della
Regione? “Un Regione come la Sicilia, dovrebbe impegnarsi a realizzare
una politica industriale volta ad incoraggiare la quotazione in borsa di alcune
aziende siciliane pubbliche ma anche private. In tal modo, il risparmio delle
famiglie siciliane, che oggi affluisce in maniera consistente nel capitale
sociale di aziende del centro nord, sarebbe dirottato nel finanziamento delle
imprese siciliane, notoriamente sottocapitalizzate. In tal modo il risparmio dei
siciliani rimarrebbe in Sicilia e finanzierebbe le imprese locali anziché quelle
settentrionali. A ciò si aggiunga che, la quotazione in Borsa di alcune aziende
locali consentirebbe di attrarre anche capitali non locali che altrimenti
verrebbero destinati a finanziare la crescita di altre società.
Ciò
implicherebbe una svolta culturale da parte dell’investitore
siciliano.
“Certo, perché l’investitore siciliano è sempre stato ben
lieto di acquistare azioni di società del centro nord mentre tende a non fidarsi
di finanziare le società siciliane. A ciò aggiunga che anche se si fidasse non
avrebbe materialmente la possibilità di acquistare azioni di società siciliane
visto che nessuna di queste è quotate in borsa. Non esistendo quindi un mercato
pubblico delle azioni non saprebbe a chi rivolgersi.
Sul piano culturale
occorre sfatare il mito secondo cui le società del centro nord Italia sono
meglio amministrate di quelle siciliane. Basti vedere come sono crollati gli
indici di borsa degli ultimi cinque anni. Tanti investitori siciliani hanno
perso un mucchio di soldi comprando azioni del Monte dei Paschi di Siena o di
Generali o di tanti altri big dell’industria italiana. Sotto altro punto di
vista occorre iniziare ad inculcare nella testa degli investitori siciliani il
concetto che se proprio devono assumersi un rischio nell’investimento azionario,
tanto vale assumerlo nei confronti di un’azienda siciliana la quale, peraltro,
essendo quotata sarebbe soggetta a molti controlli da parte delle autorità
pubbliche di vigilanza che tenderanno in parte a ridurre i rischi di cattiva
gestione”.
Ma
se i soldi sono finiti, come si potrà finanziare il rilancio dell’economia e
delle infrastrutture?
“La più grande sfida della classe politica del
XXI secolo sarà rappresentata, in un contesto di scarsità e depauperamento delle
risorse pubbliche, dal reperimento dei capitali necessari per il finanziamento
delle infrastrutture. Detti capitali non potranno che essere privati. Occorrerà
pertanto elaborare forme di reperimento di risorse private e la quotazione in
borsa delle società che costituiscono il tessuto produttivo dell’economia
siciliana sarebbe un primo punto di partenza. La Sicilia dovrebbe ripetere
esperienze positive, come quello rappresentato dal Porto Turistico di Licata, in
provincia di Agrigento, dove è stata realizzata un’importante infrastruttura di
notevole rilevanza pubblicistica senza l’utilizzo di uno solo euro proveniente
dalle casse pubbliche. La parte imprenditoriale privata ha messo a disposizione
le risorse finanziarie, le idee, la creatività e l’efficienza tipica del settore
privato e la parte pubblica ha messo a disposizione l’area demaniale, così
consentendo la trasformazione di quella che in passato era una spiaggia
derelitta e abbandonata, nella più grande sorpresa turistica di quest’estate
2012 in Sicilia. Attraverso la quotazione in borsa di ambiziosi progetti
imprenditoriali pubblici o privati o, tramite la messa a disposizione di
progetti imprenditoriali privati di aree demaniali pubbliche, si potranno
finanziare le infrastrutture necessarie per il rilancio della Sicilia, come
porti, aeroporti, tratte autostradali, tratte ferroviarie, autostrade del mare e
via dicendo”.
Patrizia Penna
Twitter:
@PatriziaPenna
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